Bellezze artistiche: il manoscritto misterioso

Era il 1912 quando Wilfrid Voynich, mercante di libri rari di origine polacca, comprò al collegio gesuita di villa Mondragone una serie di libri.

Tra questi c’era un manoscritto di pergamena di vitello molto insolito.

All’interno del libro c’era una lettera che riportava come un tempo fosse stato di proprietà di Rodolfo II di Boemia che lo aveva acquistato per 600 ducati credendolo realizzato dal famoso Ruggero Bacone.

Il libro, oggi segnato con la sigla Ms 408 presso la biblioteca di Yale, famosa per la sua collezione di manoscritti rari, viene denominato Manoscritto di Voynich.

La sua particolarità risiede nella sua stranezza linguistica. Il manoscritto infatti, che contiene diverse sezioni, sembra essere scritto in una lingua sconosciuta e intraducibile.

Da anni gli studiosi si sono contesi il merito di aver tradotto quest’opera, ma con il tempo sono stati tutti smentiti nei fatti: il manoscritto sembra essere davvero scritto in una lingua estinta.

La struttura è peculiare: ci sono 116 fogli di cui 14 sono andati persi.

All’interno ci sono 4 sezioni chiamate per convenzione botanica, astronomica-astrologica, biologica e farmacologica. 

Le illustrazioni, a colori, ritraggono piante non riconoscibili, costellazioni, donne intente a quelli che sembrano dei bagni termali e varie boccette di natura chimica.

Fino al 2011 molti lo ritenevano un falso, costruito ad arte per prendere in giro Rodolfo II, in particolare modo da parte di Edward Kelley.

La prova della sua falsità è stata scardinata dalla datazione scientifica al radiocarbonio che lo fa risalire al XV secolo e dalle prove effettuate su pergamena nel corso degli anni.

Il manoscritto sembra essere quindi estremamente antico, probabilmente scritto come enciclopedia di natura medica la cui realizzazione rimane sconosciuta.

La particolarità, notata da Bennett nel 1976, è la bassa entropia della lingua, ovvero lo scarsissimo numero di parole, molte delle quali si ripetono in un susseguirsi di stranezze, che la assocerebbero tra le lingue moderne, solo all’hawaiano.

Alcuni studiosi recentemente hanno pensato si trattasse di una sorta di dialetto antico, ormai estinto, forse realizzato come una lingua artificiale per scopi medici.

Altri credono che sia riconducibile a lingue provenienti dall’Asia minore, sia per il suo alfabeto, estremamente inusuale, sia per la struttura delle frasi.

Ad oggi il mistero rimane.

L’origine del manoscritto è sconosciuta e tutti gli studi più illustri sembrano solo dimostrare la difficoltà di riconoscimento della lingua e del contenuto. Tutt’ora rimane uno dei reperti più stravaganti e misteriosi che possediamo, un mistero che ha alimentato la fantasia di autori e artisti, che ha lasciato spazio a speculazioni di vario genere, alcune decisamente sopra le righe.

Il suo valore storico tuttavia rimane il fulcro portante delle ricerche scientifiche ed è la base fondante degli studi di molti illustri scienziati e linguisti.

Riusciremo mai a tradurlo? Forse. Sta di fatto che la sua bellezza artistica rimane ancora incontestata e impareggiabile.

Book Club: sotto l’ombrellone

La calura estiva ci lascia completamente privi di energie, ma con un forte desiderio di mare e relax.

Perché non avventurarsi quindi verso letture varie mentre stiamo comodamente sdraiati sotto l’ombrellone con una bibita fresca in mano?

Ecco a voi i consigli per questa estate super hot!

My body di Emily Ratajkowski: una serie di saggi di stampo femminista sul corpo della donna, più in dettaglio sul suo. Lettura interessante e che fornisce degli spunti di riflessione sul potere patriarcale e il sistema, su come controlla anche la percezione che abbiamo di noi stesse. Inaspettatamente devo dire che l’autrice aggiunge qualcosa di fresco al suo modo di scrivere, rendendo la lettura piacevole e mai pesante, interessante e profonda allo stesso tempo, ma mai banale. Consigliatissimo!

Storie della tua vita di Ted Chiang: Antologia di racconti su base fantascientifica. Da uno di essi ( uno dei miei preferiti) è stato tratto il film “Arrival”. Ci troviamo di fronte a storie pazzesche, da certi punti di vista riescono a scuotere le convinzioni personali in maniera profonda lasciando spazio a qualcosa di innovativo. Bisogna leggerlo con attenzione, ma i racconti brevi presenti possono essere finiti in una giornata lasciandovi poi il tempo per qualche tuffo in mare!

Vladimir Naboko, Lolita: poco da dire su questo capolavoro indiscusso di prosa. Personalmente l’ho trovato una lettura piacevole e stimolante, perfetta per un pomeriggio all’ombra del sole!

Samuel R. Delany, Babel 17: libro complesso, ma estremamente innovativo nelle sue idee. Lo stampo è di carattere fantascientifico, con particolare attenzione al linguaggio e alle sue componenti. Vi farà viaggiare in posti lontani e fuori dal nostro tempo, dove le relazioni e le persone sono completamente diverse da come le conosciamo noi!

Joan Didion, Play as it lays: lettura innovativa nell’approccio Didioniano. Non sono una serie di saggi di varia natura, ma una storia vera e propria che si snoda attraverso le pagine. I temi affrontati sono attuali anche se è un libro degli anni ’60. Interessante è il legame che la Didion è riuscita a creare con il lettore: sei letteralmente nella testa della protagonista. Fantastico!

L’esperimento scientifico più inusuale della storia

Biosphere 2, questo è il nome attribuito a un esperimento scientifico iniziato con la costruzione di enormi padiglioni nel mezzo del deserto dell’Arizona.

La costruzione, avviata nel 1987 e terminata nel 1991, prevedeva l’allestimento di un’estesa superficie per la creazione di una “seconda terra”.

All’interno delle istallazioni di metallo e vetro coesistevano 6 diversi ecosistemi: la foresta tropicale, un oceano con tanto di barriera corallina, una palude di mangrovie, un deserto, la savana e terreni coltivabili. In aggiunta erano presenti numerosi laboratori per lo studio di piante e animali.

L’idea nacque da John Polk Allen, uno scienziato esperto in leghe metalliche e la moglie, Marie Harding, fotografa. Prima di allora avevano sperimentato diversi anni di vita in un ecovillaggio fondato da loro nel 1969, il Synergia Ranch, situato a Santa Fe, nel New Mexico.

La funzione di queste mastodontiche strutture doveva essere quella di introdurre dei possibili sistemi di colonizzazione di altri pianeti, come Luna e Marte, lo studio della crescita della flora e della fauna e i vari cicli vitali e chimici che interessano il Pianeta Terra.

Un’ulteriore finalità era quella di provare l’ipotesi Gaia, del biofisico James Lovelock e della microbiologa Lynn Margulis che nel 1972 avevano ipotizzato che terra, piante e animali si fossero sviluppati nel corso delle epoche in un sistema autoregolante.

All’interno degli spazi furono introdotte più di tremila specie differenti, tra piante e animali, pesci e insetti, oltre che cereali e verdure di vario tipo.

L’esperimento venne avviato il 26 Settembre del 1991, con otto partecipanti, quattro uomini e quattro donne che per un periodo di due anni dovevano vivere all’interno di Biosfera 2 in maniera autosufficiente, quasi completamente isolati dall’esterno, mentre conducevano esperimenti pratici per raccogliere dati.

Questa straordinaria idea però cominciò ben presto a vacillare.

La mancanza di sole non garantiva una corretta crescita delle specie al loro interno, la scomparsa degli insetti impollinatori rappresentò un problema anche di fronte all’alto tasso di riproducibilità di formiche e blatte, che presto invasero tutti i compartimenti, e una pericolosa caduta dei livelli di ossigeno compromisero l’esperimento al punto tale che il sistema isolato dovette ricorrere a numerosi aiuti esterni.

Anche sotto un profilo psicologico la situazione si fece tesa.

Ben presto si svilupparono due fazioni di pensiero, capeggiate da due delle scienziate presenti che avevano visioni diverse circa la conduzione dell’esperimento e il mantenimento del suo isolamento dal mondo esterno.

Nonostante tutto gli otto scienziati rimasero per la durata intera dei due anni e uscirono nel 1993.

L’anno successivo venne annunciata una seconda missione, anche in luce al fallimento colossale della prima e delle varie problematiche che si erano istaurate all’interno del complesso esperimento.

La missione 2 fallì dopo appena 32 giorni per la natura troppo estrema dell’esperimento.

La struttura, eccessivamente grande e costata 150 milioni di dollari, fu affidata alla Columbia University fino al 2003, per poi passare all’università dell’Arizona.

Tutt’ora è un museo aperto al pubblico, ma non disdegna una funzione scientifica. Si studiano infatti gli ecosistemi e le loro relazioni, nonché nuove proposte per fronteggiare il cambiamento climatico.

Una delle note più interessanti è sicuramente l’aspetto psicologico dell’esperimento, che viene elaborato all’interno degli studi psicologici e sociali avviati nella struttura, e in particolare modo la relazione tra uomo e natura, che nel corso degli anni è stata persa, nonché la relazione sociale tra uomini, fattore fondamentale per le eventuali future colonizzazioni di altri pianeti.

Ulteriori studi riguardano l’acidificazione degli oceani, causa principale dell’estinzione della barriera corallina e le pratiche necessarie a impedirla.

Questa idea, nata principalmente con scopi scientifici validi e definiti, è diventata nel corso degli anni fonte di imbarazzo per gli ideatori, un’utopia troppo grande e pretenziosa per poter essere raggiunta.

Molti sono stati coloro che hanno storto il naso di fronte a Biosfera 2, di fronte al suo costo e di fronte alla metodologia con cui gli esperimenti sono stati condotti.

Nonostante ciò potrebbe essere un importante punto di svolta per gli studi climatici e per tutte le questioni ambientali, faunistiche e floristiche che ci riguardano da vicino. Avere una struttura così vasta, con dei sistemi ecologici già stabiliti e adattati potrebbe rappresentare il punto di partenza per ulteriori studi e per ulteriori missioni, garantendo una risorsa fondamentale e non indifferente anche per le generazioni future.

Perché il diritto all’aborto deve essere inviolabile

Partiamo dai fatti scottanti delle ultime settimane.

In America è stata soppressa la roe vs Wade, sentenza della corte suprema che è stata istaurata nel  1973, tutelante il diritto di aborto a livello costituzionale.

Prima di allora, in un tempo remoto e retrogrado, i singoli stati federali disciplinavano il diritto di aborto autonomamente con leggi proprie. In molti stati era considerato reato interrompere una gravidanza, sia per motivi di natura personale, come le scelte dovute alla mancanza di capacità di sostentamento economico, sia in casi di gravidanza indesiderata a seguito di stupro, sia nel caso di gravidanze a rischio di complicanze mediche per il feto o la gestante. 

Basti pensare che solo in tre stati era considerato valido a seguito di stupro o di pericolo di salute per la donna abortire un feto e tutelare sé stesse prima di qualsivoglia “moralità” religiosa o imposizione legislativa.

La sentenza ha cominciato da subito a dividere i due schieramenti “pro-choice” e “pro-life” dando vita a un dibattito piuttosto pacato da una parte e decisamente presuntuoso dall’altra. I sostenitori della vita contro ogni cosa infatti , basandosi prevalentemente su contesti di natura religiosa, si sono sempre opposti in maniera più o meno marcata- e spesso marcata all’estremo- nei confronti della Libertà , da intendersi con la lettera maiuscola, di scegliere se portare a termine una gravidanza o no.

Le loro motivazioni sono retoricamente le stesse: un feto è una vita e come tale va tutelata.

Compiere l’aborto in qualsiasi caso rappresenterebbe uccidere un essere umano e opporsi alle leggi che governano i paesi oltre che a leggi superiori e divine.

La donna ha quindi il compito di portare avanti la gravidanza e di far nascere il bambino indipendentemente da qualsivoglia fattore pre-esistente.

Perché questo rappresenti un problema è evidente.

In un contesto aperto come quello Americano, che per anni è stato il lontano sogno a cui tutti ambivano,  ci si dovrebbe basare sulla libertà come valore fondante dell’esistenza umana. Sebbene si faccia ancora fatica a integrare ogni singolo individuo ( vedi il razzismo imperante) è ancora presente la radicata lotta tra i sessi, pilastro fondante di tutti i conflitti anzitempo della società. 

Essere donna nel 21° secolo rappresenta ancora una fonte di costi e limitazioni che si pensavano abbandonate e superate da tempo.

Generalmente le donne dovrebbero poter avere gli stessi diritti della controparte maschile, ma questa realtà sembra sfuggire ai più, che temono ancora che dare diritti alle donne significhi in qualche modo una virilità minacciata e inevitabilmente, indebolita. 

Ma già il discorso di base è sbagliato: Non c’è nulla da dare, solo da riconoscere e tutelare in quanto esseri viventi.

Non si sa perché degli uomini possano permettersi di decidere e se per questo avere anche un’opinione su questioni di natura anatomicamente femminili, o in generale perché una persona indipendentemente dal sesso biologico o dal genere debba dettare le possibilità di scelta di un’altra, limitandole e sottoponendole a dei vagli critici che non hanno senso di esistere in una società civilizzata. 

Il corpo di una donna, che diventa inevitabilmente un’incubatrice che per nove mesi, cresce e cambia, soffre e si evolve, a volte con gioia, ma a volte anche con dolore e scomodità, dovrebbe essere onorato come fonte di fertilità solo nel caso in cui questa sia desiderata e ricercata. Perché questo rappresenta un punto fondante della realtà dell’essere umano in sé.

La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro e pertanto io sono padrona delle mie decisioni e del mio spazio vitale, inteso come il mio corpo fisico di carne, dei suoi meccanismi e delle sue funzioni e anche della sua possibilità di riprodursi o meno. 

La donna deve essere libera, contro ogni imposizione, di fruire del suo corpo come meglio crede e questo non è stato possibile per la gran parte della storia dell’umanità. Anzi per tutta. 

Fin dall’antichità il corpo femminile è stato un terreno di battaglia su cui uomini prepotenti hanno deciso le sorti del mondo e donne succubi hanno preteso, con giudizio imperante, la padronanza di ideali e la sottomissione a leggi arcaiche e controproducenti. E forse ciò rappresenta il tradimento più grande. Di fronte a uomini che si preoccupano così intensamente del corpo femminile, ogni donna dovrebbe sostenere la propria amica, sorella, madre, figlia, ad esercitare la sua libertà, mentre è evidente che alcune donne sentano ancora il bisogno, dettato da una società patriarcale e maschilista, di sottolineare come il non avere un diritto sia di fatto un privilegio.

E tutto ciò non fa altro che alimentare un vecchio paradigma dove l’uomo ha il potere e solo le donne “meritevoli” e “superiori” rispetto alle altre possono in qualche modo fruire dei suoi privilegi.

Questo alimenta la lotta uomo-donna e più di tutte, la lotta donna-donna.

Tutto ciò rende il confronto estremamente insensibile di fronte alle esigenze del sesso femminile in particolare modo di quella parte di esso che vuole combattere per la salvaguardia dei propri diritti naturali e inviolabili, che ancora oggi deve stare un passo indietro di fronte a uomini sempre più incattiviti e invidiosi e a donne che a loro volta hanno bisogno di sottolineare la loro superiorità rispetto alle altre e nascondere la loro “inadeguatezza” e insicurezza.

Quest’anno, all’alba del 2022, che sembrerebbe essere decisamente un contesto migliore per stabilire i diritti degli esseri umani e garantire l’inclusività di tutti, la sentenza è stata ribaltata.

Cosa signfiica questo? Che i signoli stati possono scegliere cosa decidere in base ai casi e in generale che le donne hanno di fatto perso il diritto di scelta sul finire o meno le loro gravidanza- indesiderate o non. 

In un mondo in cui l’esistenza umana sembra essere sempre più sulla direzione dell’inclusività, questo rappresenta un evidente passo indietro. 

Dobbiamo costantemente guardarci le spalle. 

Dobbiamo sempre sottolineare come siamo esseri viventi che hanno dei diritti in quanto tali, che devono poter esercitare la propria libertà in un contesto sicuro e sano.

Perché abolire l’aborto significa solo abolire l’aborto in sicurezza.

Significa costringere donne che non hanno i mezzi necessari al sostentamento a provvedere a una situazione indesiderata, che può essere rischiosa per la loro vita, e dover essere vittime della scelta altrui, senza aiuti di nessun tipo.

Significa creare donne deboli, sole, povere, che non possono aspirare a un futuro migliore, che devono essere escluse anche dall’attività più naturale del mondo per paura di un bagaglio inatteso. 

Significa ripopolare il mondo di uomini più controllanti, più potenti e che possono decidere per tutti.

Significa tornare indietro.

E questo non è un bene per nessuno se non per coloro che controllano le scelte altrui imponendo solo le proprie verità.

Sembrerebbe che ogni piccola rivalsa che riusciamo ad ottenere dopo anni di soprusi e ingiustizie debba essere nuovamente soppressa per portare avanti una mentalità vecchia e retrograda che qualche individuo impertinente vuole far prevalere. 

In questo spazio non emerge la natura più profonda e empatica dell’essere umano, che con estrema fatica cerca di riaffiorare in superficie portando un’energia nuova, rinnovata, più leggera e saggia della precedente. 

Di fronte a questo sembra impossibile mantenere la speranza.

Di fronte a questo enorme, gigantesco atto di meschinità e cattiveria c’è da chiedersi se forse anche gli altri stati con personaggi politici alquanto dubbi non comincino a portare avanti queste ideologie dannose e pericolosissime per il benessere di tutti. Fortunatamente l’unione europea sta cercando di mediare a questa situazione e garantire la possibilità di agire secondo il proprio volere nei confronti di una situazione che ha fattezze puramente personali e pertanto private.

Ognuno è libero di scegliere per sé stesso. 

Ed è indice di intelligenza emotiva e rispetto per il prossimo avere fiducia della sua capacità decisionale in merito a questioni di natura personale che interessano solamente lei.

La regina dei leoni

Ad alcuni di voi sarà probabilmente sconosciuto il nome Tippi Hedren.

Ebbene sì, forse siamo una generazione ancora troppo giovane per poterci ricordare di questa straordinaria attrice, musa di Alfred Hitchcock e famosa protagonista del film “Gli Uccelli”.

Forse possiamo ignorare completamente che è la madre di Melanie Griffith e nonna della più celebre Dakota Johnson, ma sicuramente la sua filosofia personale può ancora affascinare.

Alla fine degli anni 60, l’allora 39enne Tippi si appassionò di felini al punto tale da decidere di comprarne diversi esemplari da tenere in casa. L’esperienza ricreativa con i leoni le fece venire l’idea di girare un film che avesse per protagonisti gli amici a quattro zampe e così, negli anni 80, Tippi decise di cominciare le riprese.

Il film, “Il grande ruggito”, fu realizzato alla modica cifra di 17 milioni di dollari, decisamente costoso per un film casalingo. La particolarità di questa pellicola era che i leoni non erano addestrati.

Questo dettaglio fu significativo in quanto una leonessa ferì la stessa Hedren causandole uno squarcio che ebbe bisogno di ben 50 punti di sutura. Il film ottenne scarso successo e fu definito il film più pericoloso mai realizzato.

Nonostante l’esperienza negativa sul set, Tippi, credente ambientalista e sostenitrice dei diritti degli animali, decise di mantenere il suo zoo privato e per diversi anni lo allargò fino a contare più di un centinaio di esemplari.

Life fece un servizio sulla famiglia nei primi anni 70, facendo conoscere al mondo la realtà quotidiana dell’attrice e dei suoi parenti più stretti. Le fotografie, scattate interamente nella loro casa, ritraggono momenti di normalità accompagnati dalla presenza del leone Neil. Se ad alcuni questi bizzarri scatti sembrano divertire, ad altri hanno fatto sorgere la domanda spontanea: fino a che punto si può agire nella cieca convinzione?

Fortunatamente non ci furono significativi incidenti nella famiglia nel corso degli anni e ancora oggi, la bella Tippi possiede felini da compagnia, in numero minore rispetto all’esosa quantità del passato. Secondo la nipote, Dakota, ancora oggi è comune parlare al telefono con la nonna mentre un leone o una tigre si affacciano dalla finestrella della cucina.

La vicenda rimase per lo più un esempio degli eccessi e delle idee non convenzionali di un periodo storico ben lontano dal nostro, quando ogni elemento di esclusività veniva sottolineato da una cultura alternativa, estrema nella sua essenza per certi versi, e decisamente eclettica nel suo essere così originale.

Film per una (troppo) soleggiata domenica estiva

Quando il caldo dell’estate si fa sentire, come in queste ultime settimane, diventa difficile fare attività all’aperto. Solo l’idea di buttarci sotto il sole cocente ci sfinisce e l’unica soluzione plausibile sembra stare chiusi in casa con il condizionatore sparato a mille.

Certo è allettante stare al fresco, abbandonati sul divano a passare le ore in una sorta di dormiveglia collettivo.

Però a volte ci si annoia a morte a passare i pomeriggi così, soprattutto per chi non ha la fortuna di una bella piscina fresca in cui buttarsi ancora vestito.

Insomma bisogna trovare qualcosa da fare.

Se siete i tipi da libri forse questo non è il miglior post che potete trovare. Se invece siete deconcentrati dal caldo e volete passare un pomeriggio afoso di fronte alla tv (o al pc) questa lista fa per voi:

Il giardino delle vergini suicida (1999) di Sofia Coppola:

Storia complessa, di fatto una mezza tragedia, ma se siete degli esperti di estetica troverete questo film decisamente piacevole. Forse è un po’ impegnato per un pomeriggio estivo, ma merita per la fotografia e in generale per la recitazione. Ah parla di vergini suicida, come potevate immaginare.

Picnic a Hanging Rock (1975) di Peter Weir:

Questa chicca ambientata nel 1900 vi lascerà di stucco per la misteriosità della sua trama. Allo stesso tempo però vi intrigherà così tanto che probabilmente cercherete la spiegazione su internet. Cercare di capire perché delle giovani donne sono scomparse in maniera del tutto imprevedibile vi terrà attaccati allo schermo e alla fine finirete per apprezzare l’estetica anni 70 di questo piccolo capolavoro.

LOLITA, Jeremy Irons, Dominique Swain, 1997

Lolita (1997) di Adrian Lyne:

Un classico estivo, a mio modesto parere. Se siete appassionati di lettura consiglio il romanzo, un grande capolavoro di letteratura 900esca. Il film del 97 ha toni più soavi di quello di Kubrick, di cui non sono ad oggi una grande fan. La storia è la stessa, ma a mio avviso Dominique Swain ha fatto un lavoro sublime e il vibe merita.

Laguna Blu (1979) di Randal Kleiser:

Anche questa perla (caraibica) viene da un rinomato romanzo. La storia d’amore dei due protagonisti ha visto i limiti della pedofilia secondo alcuni, secondo altri è solo una rappresentazione naturale della vita di due giovani dispersi su un’isola remota. E poi parliamoci chiaro: Brooke Shields con i capelli al vento, lunghi fino alla vita, è decisamente un’icona degli anni ottanta e comunque la visione di un mare caraibico è sempre preferibile alla siccità.

Rose Red (2002) su idea di Stephen King:

Per gli amanti dell’horror, come me, una piccola chicca poco conosciuta in patria. Una miniserie piuttosto vintage, ma che vi rapirà senza ombra di dubbio. Ambientata in una casa infestata, è il modo perfetto per trascorrere un weekend di paura e di forti emozioni. Anche di questa consiglio il libro “il diario di Ellen Rimbauer” che trae spunto dalla miniserie e racconta in modo più approfondito gli antefatti della storia.

Jennifer’s Body (2009) di Karyn Kusama:

Anche in questo caso si tratta di un horror (o quasi) che però merita per il disimpegno dei toni e la sua colonna sonora. Un film piacevole e non troppo impegnato, carino tutto sommato e che merita di essere visto. Megan Fox è stupenda nella parte della teenager mangiatrice di ragazzi.

Il canto dell’usignolo: il connubio perfetto tra arte, musica e danza

Anni fa andai a una mostra di matisse a Roma. Tra le sale e i bellissimi capolavori ricchi di colori sgargianti, mi imbattei in una visione che mi estasiò.

Non sapevo che uno dei più grandi artisti mai esistiti si fosse occupato di un balletto classico, il mio primo e grande amore.

L’opera prende il nome di “Le chant du Rossignol”, su musica composta da niente meno che Stravinskij stesso.

Ma facciamo un passo indietro.

L’opera fu composta tra il 1908 e il 1914 dal grande musicista che si fece convincere da Djagilev, un grande impresario teatrale di origini russe, a riadattarla in un balletto.

Il primo adattamento fu un flop, le parti ballate erano scarse e in generale il pubblico non apprezzò.

Successivamente si decise di movimentare l’opera.

nizialmente la scenografia fu attribuita a Fortunato Depero, ma le sue idee erano decisamente troppo stravaganti per la poetica dell’opera e venne accantonato.

Fu allora assunto Matisse come costumista ufficiale. Con la sua linea raffinata, dolce e gentile, realizzò dei costumi all’avanguardia, bellissimi e ciascuno dipinto a mano.

Il balletto andò in scena all’Opera di Parigi nel 1920 con la famosa compagnia dei Balletti Russi. La coreografia, affidata a Leonide Massine, risulto anch’essa un flop, troppi passi in controtempo e decisamente innovativa, forse un po’ troppo per lo spirito dell’epoca.

Nel ’25 la coreografia fu riadattata all’arte di un grandissimo ballerino e coreografo: Balanchine.

Il ballerino sembrò risollevare l’opera dalla sua precedente caduta e mise in scena un balletto all’avanguardia, ricco nel suo stile e di grande impatto scenico (come solo lui sapeva fare).

Da qui si susseguirono diversi esperimenti circa la coreografia che si protrassero per tutto il 900.

Ad oggi anche se i costumi realizzati da Matisse sono pezzi da museo, confinati dietro un vetro protettivo per la loro delicata essenza, il balletto conosce ancora i suoi momenti di gloria, riadattato per ovvie ragioni, viene messo in scena dalle più svariate compagnie, rimanendo tuttavia una piccola perla rara nel mondo della danza.

Margaretha, la ballerina dai mille volti.

Correva l’anno 1917, precisamente un Lunedì di metà Ottobre, quando Margaretha fu svegliata di buon mattino nella cella in cui era tenuta prigioniera.

Si vestì con calma, con l’aiuto di due suore e si incamminò verso il destino che era stato scelto per lei.

Presto, quella mattina, sarebbe stata legata ad un palo e fucilata da un plotone di esecuzione.

L’accusa che mosse questa vicenda era di spionaggio.

Fu colpita quattro volte, di cui una direttamente al cuore. Il suo corpo, ormai devastato dalla potenza micidiale dei proiettili fu gettato in una fossa comune e così dimenticato.

Un tempo quel corpo era stato oggetto di sogni proibiti e fantasie da parte di tutta Parigi. Ufficiali, uomini illustri, ma anche donne, vi avevano poggiato lo sguardo grazie all’esuberante sensualità che riusciva a trasmettere attraverso le sue danze. Pochi anni prima Margaretha non era conosciuta con il nome di battesimo, bensì con il suo nome d’arte: Mata Hari.

Il nome le venne dato nel 1905 sulla scena Parigina, dove si era rifugiata dopo un matrimonio disastroso. La bella Mata, che nella lingua malese significa “alba” o “occhi del sole”, cominciò a mantenersi come modella e a prostituirsi per riuscire a guadagnare abbastanza per un pasto.

Fu casualmente, ad una festa, che ebbe modo di sfoggiare il suo talento in tutto il suo splendore.

Cominciò infatti a danzare quella che sembrava essere una danza orientale, come disse lei, ispirata ai movimenti sensuali delle sacerdotesse del dio Shiva. La cosa non finiva qui: le sacerdotesse si spingevano fino a togliersi le vesti in un approccio erotico-amoroso verso il dio stesso. La serata fu un successo, ma fu la sua replica a casa di una popolare cantante che la consacrò nel mondo patinato delle star.

Da qui Mata cominciò a esibirsi anche in diversi teatri, attirando un pubblico maggiore e incrementando il suo successo.

Il suo numero consisteva in un lento e sensuale spogliarello di sete e tessuti trasparenti, fino a rimanere seminuda e ricoperta solo di gioielli orientali. In verità non mostrò mai apertamente i seni, ma questo bastava ad incuriosire gli animi degli spettatori della Belle Epoque.

Fu acclamata dalla critica che la definì “essa stessa la danza” ed ebbe numerosi ammiratori che le chiesero la mano. Purtroppo però l’idillio finì presto: l’affacciarsi del primo conflitto mondiale interruppe tristemente la sua carriera di danzatrice per lanciarla in un mondo completamente diverso e pericoloso.

Durante questi anni l’incertezza scandiva la vita in Europa.

Mata divenne amante del banchiere tedesco Van Der Schalk, che si dice fu il primo ad avviarla alla professione di spia. Inizialmente doveva portare informazioni sull’aeroporto di Contrexeville, in Francia, agli alleati tedeschi per cui faceva la spia sotto il nome di agente H21.

Visti i suoi numerosi amanti di spicco nel mondo della politica e dello spionaggio fu tenuta in osservazione, senza che lei lo sapesse, dal controspionaggio Inglese e Francese che si stava contemporaneamente muovendo per avere informazioni contro i Tedeschi.

Mata Hari

Durante le sue “missioni” però ebbe contatti diretti con il capo del controspionaggio Francese che le propose di entrare nel gioco per aiutare la Francia. Accettò l’offerta, sotto un pagamento di un milione di franchi, una cifra enorme per il tempo.

Da qui cominciò il suo doppio gioco. Spia tedesca e spia francese. I due lati di una realtà opposta ed estremamente pericolosa.

I tedeschi scoprirono ben presto il suo piano e la fecero arrestare in Francia.

Di fronte alle accuse gravissime Mata Hari inizialmente negò ogni cosa, ma quando la pressione cominciò a pesare sulle sue spalle, vuotò il sacco. La sentenza del tribunale la trovò colpevole del reato e fu condannata a morte il 15 Ottobre del 1917.

Fu forse la cieca fiducia nelle sue capacità seduttrici che in ultimo la condannò a un destino nefasto. Forse furono i troppi amanti, personaggi troppo in vista che sapevano molto bene cosa si celava dietro ogni mossa della Nazione. Forse fu una mossa sbagliata, una parola di troppo. Forse fu semplicemente il destino che giocò a sua volta con l’esistenza di Mata.

Una cosa è certa: la sua sensualità rimase un faro abbagliante. Come lei non ci fu nessun’altra. Molte presero ispirazione, ma nessuna riuscì ad eguagliare, nemmeno lontanamente, il suo successo e il suo apprezzamento.

In un momento storico che vedeva ancora la sensualità come un grosso tabù, Mata riuscì a creare qualcosa di iconico che perdura, un’unione tra Oriente e Occidente basata sull’erotismo ai massimi livelli e sulla fiducia nelle proprie capacità. Ancora oggi rimane un’ispirazione, una grande ballerina e performer che ha cambiato la mentalità del proprio tempo.

Zsuzsi e William: una storia d’amore tragica

Dietro al mondo dorato e fastoso della monarchia inglese si nascondono delle regole ferree, talvolta insostenibili, che scandiscono la vita iper programmata dei reali. Molto prima di Harry e Meghan e delle innovazioni che hanno portato nel regno inglese c’erano Zsuzsi e William.

William di Gloucester era il cugino della Regina, quarto in linea per il trono inglese.

Spirito libero e volenteroso di avere una vita normale, nel 1968, all’età di 26 anni, si trasferisce in Giappone, per lavorare nella diplomazia. Qui incontra lo sguardo di una donna un po’ più grande di lui, Zsuzsi Starkoff, di origine Ungherese.

William è bello, intelligente e terribilmente sexy e attira facilmente lo sguardo delle donne che gli garantiscono la fama di playboy.

Zsuzsi però è diversa. Non solo è più grande, che già di per sé potrebbe rappresentare un problema per la corona inglese, ma è anche divorziata, madre di due figli e lavora come hostess e modella nell’ambiente chic di Tokyo per mantenersi.

La relazione prende il volo in pochi mesi e i due si scoprono profondamente innamorati e uniti.

Nel 1969 la Principessa Margaret arriva in città per questioni reali ( in realtà ci sono voci che dicono che fosse in loco per controllare la relazione) e qui incontra la bella Zsuzsi. La modella supera la prova ed entra nelle grazie di Margaret che comunque dice a William di aspettare e vedere come procede il rapporto prima di prendere scelte affrettate.

Sempre in quell’anno i due decidono però di sposarsi, nonostante tutto.

A detta di William non pensava di provare un amore così intenso per una donna.

Purtroppo però le cose non vanno come previsto. Il padre di William infatti soffre di un ictus e Will è costretto a tornare in patria, dove incontra ostilità per via della sua scelta amorosa. I familiari lo incoraggiano a lasciar perdere in quanto la relazione non potrebbe mai consolidarsi in un matrimonio approvato dalla regina. Le regole sono chiare e non ci si può opporre.

I due si separano per diverso tempo, ma Zsuzsi rimane convinta dell’amore di William.

I due cercano di mantenere qualche contatto sporadico, ma l’allontanamento pesa sulla relazione che arriva a concludersi nonostante i due si amino ancora.

Quello che non si aspettano però è la piega che la vita prenderà di lì a breve.

Nel 1972, all’età di 30 anni, William incontra la tragedia.

Pilota appassionato, il 28 Agosto di quell’anno, decide di partecipare ad una gara vicino a Wolverhampton.

L’aereo su cui viaggia si schianta poco dopo il decollo, non lasciando al pilota e al copilota nessuno scampo.

In un documentario rilasciato nel 2015 la Starkoff dichiarò che in quell’occasione William la invitò a partecipare con lui alla gara, ma per varie ragioni lei non accettò evitando inconsapevolmente il destino nefasto riservato al suo amato.

Fino alla morte, avvenuta nel 2020, Zsuzsi ha indossato l’anello che William le aveva regalato, la copia identica di quello che lui indossava al momento della sua morte.

Walter Russell: L’uomo che il mondo non è pronto ad avere

Questa frase risuona attorno alla personalità di Walter. Fu il famoso Nikola Tesla, scienziato e inventore a dichiararla dopo averlo conosciuto nel 1921. “Il mondo non è pronto alle tue intuizioni”, gli disse Tesla dopo avere ammirato i suoi lavori. Ed in parte fu così.

Walter Russell nacque nel 1871 a Boston, Massachusetts. Crebbe senza avere una particolare istruzione se non la scuola primaria fino ai 9 anni, che abbandonò per dare una mano in casa.

Si trasferì a Parigi dove ebbe modo di frequentare una scuola d’arte e nel 1894 tornò a New York componendo, nel 1900, il famoso dipinto “The might of ages”.

Fu innanzitutto un artista molto prolifico, un filosofo, uno scultore acclamato, un musicista e un autore, ma sono soprattutto le sue scoperte inerenti la natura che mi hanno affascinata.

La sua prima illuminazione avvenne all’età di 7 anni quando ebbe una esperienza fuori dal corpo.

A 14 anni fu dichiarato morto di difterite, ma per un qualche strano miracolo, riuscì a ritornare, come disse lui :”Mi hanno chiesto di tornare”.

Queste esperienze insolite plasmarono moltissimo la vita e le credenze di Walter e lo spinsero ad indagare maggiormente gli aspetti metafisici dell’esistenza umana.

I suoi interessi sono vari e spazia da discipline più umanitarie e artistiche a ricerche scientifiche.

Nel 1926 pubblica la sua tavola periodica a spirale che prediceva nuovi elementi, nuovi elementi radioattivi e situazioni chimiche e fisiche al di sotto dello standard atomico dell’idrogeno.

Nel 1929 per 39 giorni ebbe un’esperienza illuminante che ricorda come “illuminazione nella luce della coscienza cosmica”, in cui dichiarò di aver compreso i perché più reconditi dell’esistenza umana. Una sorta di Illuminazione Buddhista.

La sua abilità artistica gli permise di realizzare disegni e diagrammi che potevano rappresentare le sue visioni, molti dei quali estremamente difficili da interpretare e comprendere.

Fu autore di dozzine di libri, come “the Universal One” del 1926 e “The Book of early whisperings” del 1949.

La sua filosofia si basava sulla luce e può essere racchiusa da questa affermazione:


“All matter is a manifestation of light, everything is related”

Essenzialmente credeva che l’universo fosse dato da onde elettromagnetiche in movimento e che colui in grado di comprendere questa realtà fosse chiamato alla trascendenza stessa. La forza motrice e creatrice di tutto era vista e interpretata nel sesso, come unione di forze opposte entrambe creatrici.

Si spense il giorno del suo compleanno del 1963, lasciando numerosi disegni e scritti di natura metafisica e scientifica.

Non fu preso particolarmente sul serio come studioso di scienze, ma di sicuro alcune delle intuizioni che ebbe furono portate avanti nel corso dei decenni, fino ad arrivare a noi.