Era il 1912 quando Wilfrid Voynich, mercante di libri rari di origine polacca, comprò al collegio gesuita di villa Mondragone una serie di libri.
Tra questi c’era un manoscritto di pergamena di vitello molto insolito.
All’interno del libro c’era una lettera che riportava come un tempo fosse stato di proprietà di Rodolfo II di Boemia che lo aveva acquistato per 600 ducati credendolo realizzato dal famoso Ruggero Bacone.
Il libro, oggi segnato con la sigla Ms 408 presso la biblioteca di Yale, famosa per la sua collezione di manoscritti rari, viene denominato Manoscritto di Voynich.
La sua particolarità risiede nella sua stranezza linguistica. Il manoscritto infatti, che contiene diverse sezioni, sembra essere scritto in una lingua sconosciuta e intraducibile.
Da anni gli studiosi si sono contesi il merito di aver tradotto quest’opera, ma con il tempo sono stati tutti smentiti nei fatti: il manoscritto sembra essere davvero scritto in una lingua estinta.
La struttura è peculiare: ci sono 116 fogli di cui 14 sono andati persi.
All’interno ci sono 4 sezioni chiamate per convenzione botanica, astronomica-astrologica, biologica e farmacologica.
Le illustrazioni, a colori, ritraggono piante non riconoscibili, costellazioni, donne intente a quelli che sembrano dei bagni termali e varie boccette di natura chimica.
Fino al 2011 molti lo ritenevano un falso, costruito ad arte per prendere in giro Rodolfo II, in particolare modo da parte di Edward Kelley.
La prova della sua falsità è stata scardinata dalla datazione scientifica al radiocarbonio che lo fa risalire al XV secolo e dalle prove effettuate su pergamena nel corso degli anni.
Il manoscritto sembra essere quindi estremamente antico, probabilmente scritto come enciclopedia di natura medica la cui realizzazione rimane sconosciuta.
La particolarità, notata da Bennett nel 1976, è la bassa entropia della lingua, ovvero lo scarsissimo numero di parole, molte delle quali si ripetono in un susseguirsi di stranezze, che la assocerebbero tra le lingue moderne, solo all’hawaiano.
Alcuni studiosi recentemente hanno pensato si trattasse di una sorta di dialetto antico, ormai estinto, forse realizzato come una lingua artificiale per scopi medici.
Altri credono che sia riconducibile a lingue provenienti dall’Asia minore, sia per il suo alfabeto, estremamente inusuale, sia per la struttura delle frasi.
Ad oggi il mistero rimane.
L’origine del manoscritto è sconosciuta e tutti gli studi più illustri sembrano solo dimostrare la difficoltà di riconoscimento della lingua e del contenuto. Tutt’ora rimane uno dei reperti più stravaganti e misteriosi che possediamo, un mistero che ha alimentato la fantasia di autori e artisti, che ha lasciato spazio a speculazioni di vario genere, alcune decisamente sopra le righe.
Il suo valore storico tuttavia rimane il fulcro portante delle ricerche scientifiche ed è la base fondante degli studi di molti illustri scienziati e linguisti.
Riusciremo mai a tradurlo? Forse. Sta di fatto che la sua bellezza artistica rimane ancora incontestata e impareggiabile.