Danse de Follies! Lo spettacolo più all’avanguardia di New York

Era luglio 1915, quando, tra il caldo infernale della città e i suoi odori acidi, si dava il via allo spettacolo d’avanguardia più spinto dell’epoca.

Florenz Ziegfeld, Jr. era un prominente uomo d’affari newyorkese, l’inventore degli spettacoli d’intrattenimento “Ziegfeld Follies”, ispirati a quelli che si tenevano a Parigi, le Folies Bergère.

Inaugurati nel 1907, avevano abbracciato un nuovo modo di pensare la femminilità e il business, al punto da diventare famosissimi in tutto il paese.

Tra le ragazze che vi lavoravano come chickens”, il livello più basso, o “showgirl”, quello più alto, vi erano alcune delle più importanti stelle di quegli anni: Josephine Baker, Fanny Brice, Louise Brooks, Marion Davies, Nita Naldi, Barbara Stanwyck, Doris Eaton e moltissime altre.

Partecipare come corista agli spettacoli era l’apripista per una carriera brillante nel mondo del cinema o della musica e le giovani ragazze americane sognavano di essere tra le fila delle ballerine, alte uguali, pelle bianchissima, a muoversi all’unisono a tempo di musica.

Ziegfeld avevano notato che dopo gli spettacoli tanto acclamati, la gente se ne andava a trascorrere il resto della serata in altri night club. Così, invogliato ad aumentare i suoi profitti e a far risplendere le sue idee, decise di dare vita a un secondo spettacolo: Danse de Follies!

A termine dello spettacolo principale, bastava prendere l’ascensore e salire sul terrazzo del New Amsterdam Theatre sulla 42° strada, New York. Ad accoglierti sul rooftop garden, definito da alcuni “the meeting place of the world”, musica, danze e champagne a litri.

Lo spettacolo, che cominciava a mezzanotte, era sceneggiato nella parte in disuso del teatro, dove Ziegfeld aveva fatto istallare tavoli e sedie.

La parte più innovativa era il palco meccanizzato, in grado di ritrarsi in modo da lasciare spazio alla pista da ballo. Sopra era stata istallata una passerella trasparente, dove le ragazze potevano ballare ed essere ammirate dagli ospiti sottostanti.

Lo show, poi rinominato The Midnight Frolic, era un po’ più risqué delle Follies.

Le ballerine erano invitate a indossare della biancheria spessa, per protezione, ma questa regola veniva raramente rispettata.

Parte dello spettacolo consisteva nel scegliere la più bella tra le danzatrici e riportarlo su un’apposita scheda fornita dal locale. La vincitrice vedeva il suo stipendio per quello spettacolo raddoppiato.

Margaret Morris, Kay Laurell, and Florence Cripps on the infamous glass walkway in the Ziegfeld Midnight Frolic of 1916. (talesofamadcapheiress.blogspot.com). via Newyorkerstateofmind.com

Lo show più gettonato di tutti era quello delle “ragazze palloncino” che, passando tra i tavoli, invitavano gli uomini a scoppiare il loro palloncino con i sigari, una sorta di preludio alle famose “conigliette” che più di recente hanno popolato il panorama americano.

Ziegfeld girl Olive Thomas wearing her balloon costume on the stage of the New Amsterdam’s rooftop theatre during the original run of the Midnight Frolic. Male patrons were encouraged to use their cigars and cigarettes to pop the balloons. Photo circa 1915. (Pinterest) via Newyorkerstateofmind.com

White Studio (New York, N.Y.). [Sybil Carmen in “Ziegfeld Midnight Frolic”.] 1915. Museum of the City of New York. Gift of Henry Irving Brock, 1959. 59.271.16 ©The New York Public Library

L’avanguardia di questi spettacoli, però, era a caro prezzo. L’ingresso costava 5 dollari, che corrispondo a circa 120 dollari attuali, in aggiunta al prezzo del biglietto.

Se si voleva stare in prima fila per ammirare le ragazze da più vicino, il costo era 3 dollari (55 dollari odierni), mentre i posti in platea costavano 2,5 dollari.

La rivista teatrale divenne subito un successo, al punto tale che anche le celebrità presenziavano come ospiti fissi.

Ziegfeld, molto lungimirante, per evitare ai signori ospiti di farsi male battendo troppo spesso le mani, mise a disposizione dei martelletti ad ogni tavolo, in modo che potessero essere utilizzati al posto degli applausi.

Lo spettacolo era suddiviso in atti in cui si alternavano vari numeri comici, canori e di danza, con protagonisti del calibro di Frances White, Teddy Gerard, Eddie Cantor e molti altri. Durante la pausa, lunga 25 minuti, gli ospiti potevano cenare, danzare, bere e divertirsi in compagnia, ovviamente ad un costo elevato!

Una birra poteva costare fino a 1 dollaro, cioè quasi 25 dollari odierni e per una piccola bottiglia di champagne servivano 2,75 dollari.

Lo sfarzo era senza limiti. Gli chef dello Ziegfeld erano molto rinomati per le loro bistecche, ma per gli ospiti più esigenti e chic erano presenti scorte di caviale Beluga da poter degustare con lo champagne.

Gli abiti e le scene dello spettacolo potevano costare carissime. Si ricorda che durante la prima guerra mondiale, Ziegfeld, per non abbassare lo standard della sua opera, spese 3000 dollari per degli allestimenti in chiffon raggiungendo costi di produzione che contavano sei zeri.

Alfred Cheney Johnston (1885-1971). [Frances White in “Ziegfeld Midnight Frolic”.] 1919. Museum of the City of New York. Gift of Mrs. William R. Stephenson, 1974. 

Il club rimase aperto tutto l’anno per sei anni e nemmeno la prima guerra mondiale riuscì a impattare la produzione. Fu solamente con il proibizionismo che il sogno d’avanguardia si spense, e Ziegfeld fu costretto a malincuore a chiudere i battenti nel 1922.

Come scrisse il New York Times nei suoi anni d’oro:

“One might search the world and not find anything quite as unique or lavish as this midnight revue.”

Actress Kay Laurell standing on glass platform seen from below, from Midnight Frolic of 1915

La casa sull’albero di Brooksville

Situata su un antico albero, si staglia una bellissima Casa Vittoriana che per 30 anni ha popolato l’immaginario della città di Brooksville.

Questa meraviglia architettonica è stata costruita da James Talmage “Tokey” Walker, un veterano della seconda guerra mondiale e allevatore di bestiame.

La sua storia ha origini umili, ma come molti casi diventa motivo di grandezza. James inizialmente si occupa di vendere giornali per permettersi gli studi all’università dell’Alabama, dove intende laurearsi in legge.

Viene assunto nel più grande supermercato della zona, dove ben presto il suo duro lavoro viene riconosciuto, procurandogli una promozione a manager.

Purtroppo, la crisi bancaria della Grande Depressione coinvolge anche Walker, che vede andare in fumo i suoi sogni: tutti i suoi risparmi sono andati persi e la sua vita cambia completamente, prendendo una direzione inaspettata.

Ispirato da un cugino paterno decide di imparare a volare. Con l’aiuto economico di un amico compra il primo velivolo al costo di 600 dollari e come presidente dell’Acme Club, un gruppo simile al rotary, supervisiona la costruzione di un piccolo aeroporto nella zona di Huntsville.

Durante la Seconda Guerra Mondiale si occupa di insegnare volo presso l’University of Georgia Naval ROTC il cui programma è localizzato ad Atene. Al termine di questo periodo di lavoro, si trasferisce con la moglie Sarah a Marietta, Georgia, dove intraprende il lavoro di test pilot per il bombardiere B-29.

Nell’ottobre del 1945, la famiglia si trasferisce a Clearwater dove James dà vita alla Clearwater Flying Company, insieme a Robert J. Word, Roy A. Workman e il figlio Roy Jr.

L’obiettivo della società è quello di affittare e vendere aeroplani e fornire lezioni di volo.

Quando il governo taglia i fondi per le lezioni di volo ai veterani, i proprietari convertono la società nella Metal Industries, adibita alla produzione di schermi di alluminio.

Tokey fu un cittadino rispettato dalla comunità e dedito ad attività filantropiche che gli hanno valso numerosi premi e riconoscimenti come il Golden Flame Philantropy Award nel 2000.

Il suo nome può essere trovato sulla Wall of Honor del National Air and Space Museum a Washington D.C.

Ma facciamo un passo indietro…

Negli anni ’60 Tokey compra un terreno a Brooksville e comincia ad allevare bestiame. Solo negli anni ’80 comincia a costruire l’imponente Victorian House al 17346 Powell Road, Brooksville, Florida.

La dimora, pensata per servire ai nipoti, era provvista di camere da letto, cucina, bagno e tutte le comodità di una casa su terra ed era dipinta di un baby blue che ricorda molto le case delle bambole ottocentesche.

La casa, Abandoned in Florida.com

La casa, Abandoned in Florida.com

La casa, Abandoned in Florida.com

La casa, Abandoned in Florida.com

La casa, Abandoned in Florida.com

La casa, Abandoned in Florida.com

Dopo la sua morte, la proprietà cade in stato di abbandono, anche se rimane formalmente di proprietà della J. T. Walker Industries.

Per oltre 30 anni rimase in piedi, silenziosa ed abbandonata, come una dimora costruita dalle fate nel mezzo della foresta. Nel corso dei decenni la casa subì diversi atti vandalici, fino a diventare un luogo adibito alle colture di Marijuana.

Ad ottobre 2015 la casa, ormai irrecuperabile, viene rasa al suolo, probabilmente dai costruttori.

Photo taken in May 1991 at the Brooksville Treehouse. Photo Courtesy of Deborah Crevier

Di lei rimane solo il ricordo sbiadito presente in qualche fotografia del tempo.

Link utili: abandonedfl.com/brooksville-victorian-treehouse/

Link alle fotografie: https://www.flickr.com/photos/sfldp/8047689947/in/photostream/

Bagni retró: una breve raccolta

A chi non è capitato di usare Pinterest per cercare immagini di design? Qualche volta ci si imbatte in immagini provenienti da un’altra epoca che, come finestre, permettono di guardare a tempi passati che hanno ancora un certo fascino decadente.

E chi non sogna di farsi un bagno caldo in stanze così?!

Per ulteriori immagini: https://www.pinterest.com/vintageadventur/

Oppure: https://vintage-adventures.com

Per il decoro: https://clickamericana.com/topics/home-garden/retro-70s-bathroom-decor-styles-ideas

Oppure https://www.messynessychic.com/2019/10/11/when-sex-kitsch-collide-a-brief-compendium-of-retro-tubs/

Ithell Colquhoun, l’artista tra surrealismo ed occultismo.

Margaret Ithell Colquhoun (Shillong 9.10.1906- Cornovaglia 11.4.1988) nasce da funzionari britannici in Bengala, nell’India Britannica.

In tenera età si trasferisce con i genitori in Inghilterra dove entra nel Chentenham Ladies College e successivamente, nel 1927, alla Slade School of Art di Londra.

Si appassiona di occultismo a 17 anni grazie alla lettura di “Abbey of Thelema” di Aleister Crowley e da questo momento alimenta una ricerca interiore fatta di pratiche esoteriche volte alla conoscenza e alla celebrazione del Femminile Sacro.

Nel 1929 vince lo Slade’s Summer Composition Prize per il suo “Judith Showing the Head of Holofernes” che viene successivamente esposto alla Royal Academy di Londra, un passaggio fondamentale per la sua carriera artistica. In questo periodo Ithell produce molte opere di stampo biblico, con eroine femminili forti e potenti che alcuni credono essere una celebrazione di Artemisia Gentileschi.

Attratta da tutti i tipi di arte, comincia a scrivere, un’abilità che porta avanti parallelamente alla pittura e al disegno, e pubblica il suo primo articolo, “The Prose of Alchemy”, per la Quest Society, nel 1931 .

“Judith Showing the Head of Holofernes”, Ithell Colquhoun, oil on canvas, 1929.

Una tappa essenziale della sua evoluzione pittorica è il suo peregrinaggio in Europa, dove tocca le sponde di Grecia, Corsica, Tenerife e Francia. In questi territori marittimi e opposti all’uggiosa Inghilterra si esercita nella rappresentazione ad acquarello, documentando fedelmente i suoi viaggi e la realtà attorno a sè. La componente umana è totalmente assente nelle sue opere, ma percettibile. I disegni e gli acquarelli, 91 in totale, sono finestre aperte sugli istanti della vita, sulle tracce dell’uomo e dei suoi gesti passati: un letto disfatto, vestiti dismessi, cancelli ed interni popolano il panorama delle sue tele. Ed è proprio con questa produzione che Ithell sfonda con la sua prima mostra alla Cheltenham Art Gallery nel 1936.

“Bed II-Greece”, Ithell Colquhoun, Watercolor and pencil, 1933.

“Gateway”, Ithell Colquhoun, Watercolour and crayon on two sheets of joined paper, 1937.

Ma è a Parigi che la sua strada prende una svolta importante: introdotta al mondo surrealista dei circoli artistici parigini, Ithell si appassiona di questo filone artistico tanto da farlo proprio per tutta la sua vita. Incontra André Breton e Dalì che diventa l’artista che più di tutti riesce a scuoterla e ispirarla.

Nel ’36 partecipa alla International Surrealist Exhibition e qui assiste alla celebre lezione di Dalì in cui, presentatosi vestito con una tuta da immersione, rischia di soffocare. L’esposizione la motiva ulteriormente e comincia a far maturare dentro di lei la consapevolezza che la porta a rielaborare la sua arte da realismo a surrealismo.

I soggetti che dipinge sono piante e fiori, simbolo di fertilità, creatività e sessualità, dove applica strenuamente e con precisione le tecniche apprese.

Innamorata dell’idea surrealista, si unisce al British Surrealist Group nel ’39 e, sempre nello stesso anno, espone con Roland Penrose 14 dipinti a olio e due oggetti alla Mayor Gallery.

Il gruppo surrealista, però, impone l’esclusività e l’artista non può partecipare a nessun altro gruppo, indipendentemente dalla sua natura. Questo limita Ithell che si considera libera e a causa della sua partecipazione ad altri gruppi di stampo occultista, viene espulsa solo un anno dopo.

“Birds of Paradise Flowers”, Ithell Colquhoun, oil on board, c.1936.

“Flowers in a Greenhouse”, Ithell Colquhoun, oil on cavas, 1934.

Ithell non demorde e continua per la sua strada praticando l’arte surrealista a suo modo, sia con le tecniche apprese dai maestri, sia con altre inventate da lei.

Colquhoun infatti utilizza diversi metodi: la decalcomania nell’opera “Gorgone” del 1946; il superautomatismo nell’opera “Curving Forms in skein shapes” del 1948; la stillomanzia nell’opera “Horus” del 1957; il parsemage nell’opera “Sea Mother” del 1950; la grafomania entottica nell’opera “Torn Veil” del 1947 e molte altre.

“Gorgone”, Ithell Colquhoun, oil on board, 1946

“Curving forms in skein shapes”, Ithell Colquhoun, ink, c.1948.

“Horus”, Ithell Colquhoun, ink and wash, c.1957.

“Torn Veil”, Ithell Colquhoun, ink drawing, 1947.

Nel 1943 sposa Toni del Renzo, artista e critico d’arte, che inizialmente aveva recensito una sua mostra. Il matrimonio dura solo quattro anni e si conclude con un aspro divorzio.

Parallelamente all’attività pittorica si dedica alla poesia e alla prosa, che ritiene forme di espressione altrettanto surrealiste.

Durante gli anni ’50 abbandona la pittura. Di questo periodo si contano anni senza una singola produzione.

Nel 1955 pubblica “The Crying of the Wind”, un diario di viaggio; nel 1973 il “Grimore of the entangled Thicket” una raccolta di poesie e disegni ispirato a favole Gallesi pre cristiane, nel 1983 “Osmazone”, un’antologia di prosa e poesia.

Nel 1957 si trasferisce a Paul, in Cornovaglia, dove trascorre i restanti anni della sua vita.

Negli ultimi anni ritorna alle rappresentazioni naturali che continuano a ricalcare il suo mondo interiore. Le tecniche sono le stesse imparate negli anni della gioventù, in particolare la decalcomania, mentre la componente sessuale che contraddistingueva i suoi primi lavori, qui risulta diminuita o totalmente assente. Le composizioni sono semplici ed immediate, come in “A Rose is a Rose is a Rose” del 1980. Anche la tecnica del collage diventa predominante nei suoi lavori. Ne sono un esempio “Cornish Landscape” del 1971 e “Bird of Passage” del 1963.

“A Rose is a Rose is a Rose”, Ithell Colquhoun, Acrylic on board, 1980.

“Birds of Passage”, Ithell Colquhoun, Collage, 1963.

Alla sua morte lascia i diritti delle sue opere all’associazione The Samaritans, il suo lavoro sull’occulto alla Tate e le restanti opere al National Trust.

Nel 2019 Tate compra la partecipazione delle opere del National Trust.

Ithell fu un’artista autodidatta, come disse lei:

“I am teaching myself to carve and to write. Sometimes I copy nature, sometimes imagination: they are equally useful.” 1

Le sue opere nascono nei temi classici del surrealismo: il subconscio, i sogni, la psicanalisi tanto cara agli esponenti di questo movimento, ma si incarnano profondamente in temi come il genere e la sessualità, il Divino Femminile, l’ordine del cosmo, la transizione e la trasformazione così come l’influenza orientale.

Troviamo però anche temi politici come in “Tepid Waters” per la guerra civile spagnola.

Ithell è rimasta per tutta la vita legata al surrealismo e alle sue tradizioni rappresentative. L’occultismo, una parte fondamentale della sua vita, si è articolato perfettamente nelle sue opere dove ha realizzato opere fortemente simboliche e ricche di significato.

È possibile vedere le sue opere nella mostra “Ithell Colquhoun: Between Worlds”, Tate, fino al 5 maggio 2025.

  1. Colquhoun, I. “What do I need to paint a picture?” London Bulletin, No. 17, 15th June 1939. p13 ↩︎

Il Getty Museum e quello che rischiamo di perdere

In questi giorni tutto il mondo ha assistito ai terribili fatti della zona di Los Angeles. Tra fotografie di fiamme, distruzione e inferno, un sole nella penombra fumosa rimane rosso come un monito. Il surriscaldamento globale non è una novità, eppure moltissime persone credono ancora che non sia un fatto.

Tra case distrutte, persone che hanno perso ogni cosa, ogni ricordo o la loro stessa vita, sembra impossibile-e infinitamente superficiale- ricordarsi dei luoghi storici, dei custodi dell’arte.

Sullo sfondo di questa devastazione c’è un edificio che racchiude decenni di storia dell’umanità e opere che vanno ben oltre il genio artistico.

J. Paul Getty (15.12.1892-6.6.1976) fu un imprenditore, collezionista e filantropo statunitense. Padrone della Getty Oil Company, nacque in una famiglia facoltosa, da un padre a sua volta protagonista dell’industria del petrolio. I suoi pozzi erano sparsi per tutto il mondo: passando per Texas, Canada, Arabia Saudita fino ad arrivare in Italia dove aveva possedimenti a Gaeta, Ravenna e Milazzo.

Proprietario della villa Odescalchi a Palo Laziale (oggi rinomato hotel di lusso “La posta Vecchia”) fu rapito dalla bellezza e dalla storia del bel paese, tanto da rubarne l’architettura per un suo progetto personale: La villa Getty.

Getty vedeva l’arte come una forma di civilizzazione della società e ne era profondamente affascinato. Decise perciò di creare un’istituzione finalizzata alla ricerca, alla mostra, alla conversazione, alla pubblicazione e all’educazione dei suoi connazionali di quelle che sono alcune delle opere più belle mai realizzate nella storia dell’uomo.

Nel 1953 diede vita al J.Paul Getty Museum Trust e l’anno successivo convertì la sua proprietà a Palisades in un museo. Nel 1968, memore delle antiche ville romane di cui si era innamorato in Italia, decise di allargare il suo ranch come una “Roman Villa” ad immagine della Villa dei Papiri di Ercolano. Solo 6 anni dopo aprì al pubblico.

Getty incontra la morte nel 1976, all’età di 83 anni, lasciando un patrimonio stimato di oltre 700 milioni al fondo, con l’onorevole obiettivo di: “Diffusion of Artistic and General knowledge”.

Nel 1984 venne stabilita la fondazione del museo che grazie all’eredità è diventato il più ricco al mondo (oltre 1,2 miliardi di dollari).

Alla fine degli anni ’80 il museo si espanse su una superficie di 110 acri sulle montagne di santa Monica e prese il nome di Getty Center. L’architetto designato per la mastodontica costruzione fu Richard Meier.

Finalmente il 16 dicembre del ’97, dopo anni di duro lavoro e modifiche, il secondo museo aprì le porte al pubblico.

La villa Getty, Palisades, LA

Ad oggi il museo contiene dipinti, disegni, sculture Romane, Greche ed Etrusche, codici e miniature, arti decorative Europee e fotografie Europee, Asiatiche e Americane.

Al suo interno, ad eccezione delle fotografie, non sono contenute opere d’arte moderna.

Numerose sono però le controversie che circondano l’attività del museo.

Nel 1983 vennero acquistati 144 manoscritti medioevali con miniature dal Ludwig Collection di Aquisgrana che si trovava in serie problematiche economiche; Un’indagine ha riguardato Marion True, curatrice del museo, per l’acquisto sospetto di una corona funeraria Macedone risalente a oltre 2500 anni fa e restituita alle autorità greche nel 2006; una causa con l’Italia per la restituzione di 52 opere trafugate tra cui L’atleta di Fano, conclusasi con un accordo di restituzione di 40 opere.

Il caso più controverso rimane però l’acquisto di un Kouros nel 1984 per 32 miliardi di lire, dichiarato un falso dallo storico Federico Zeri che è stato costretto a non mettere più piede sul suolo Americano.

Anche la figura dell’imprenditore rimane controversa.

Il nipote del noto magnate fu infatti rapito dall’ Ndrangheta e venne richiesto un riscatto di 2 milioni di lire che il vecchio si rifiutò di pagare. Solamente quando gli venne recapitato un orecchio mozzato decise di cedere.

Sembra finita qua, ma non è così. L’uomo chiese indietro l’intera somma al nipote, quasi fosse una sua responsabilità, e vi aggiunse un interesse del 4%.

Nonostante ciò il museo rimane un punto di riferimento della cultura antica su suolo americano e conta ogni anno migliaia di visitatori che differentemente non potrebbero ammirare le famose opere contenute al suo interno.
Ad oggi le opere sono diverse migliaia e tra esse troviamo capolavori come gli “Iris” di Van Gogh (1889), l’Atleta di Fano, il “Velo della Veronica” di Correggio (1521), “Sant’Andrea” di Masaccio (1426), “Venere e Adone” di Tiziano (1555-1560) e l'”Adorazione dei Magi” di Mantegna (1497-1500) e moltissimi altri.

Risulta di vitale importanza perciò, in questo periodo storico delicato in cui gli animi sono confusi e sembra non esserci una prospettiva equilibrata per il futuro, fare un passo indietro, ritornare ad apprezzare la bellezza che ci è stata data e che noi stessi abbiamo creato.

Per ammirarla. Per prendercene cura. E se non altro… per non perderla.

“Venere e Adone”, Tiziano, 1555-1560 ca.
“Iris”, Van Gogh, 1889
The rue Mosnier with Flags, Manet, 1878

Spring, Manet, 1881

Arii Matamoe (the Royal End), Gauguin, 1892

La promenade, Renoir, 1870

Il rapimento di Europa, Rembrandt, 1632

 The Grand Canal in Venice from Palazzo Flangini to Campo San Marcuola, Canaletto, 1738 ca.

Sunrise, Monet, 1873

Il giardino dell’Eden

Situato nella moderna Montecito si nasconde un paradiso naturale con una storia centenaria, animato da piante tropicali e subtropicali, piscine di loto e cactus che sembrano pungere il cielo.

Nel 1882 Ralph Kinton Stevens acquistò una proprietà che rinominò Tanglewood e utilizzò come casa di famiglia. Si trattava di un luogo molto grande che poteva ospitare tranquillamente diversi giardini. Alla sua morte la vedova trasformò la residenza in un ranch per ospiti per poi affittarla ad una scuola ed infine venderla nel 1913 a causa dei costi ingenti per il suo mantenimento.

Il nuovo acquirente, il vicino di casa, George Owen Knapp la tenne per soli 3 anni, prima di venderla ai Newyorkesi E. Palmer e Marie Gavit che la rinominarono Cuesta Linda. I coniugi ingaggiarono il famoso architetto Reginald Johnson per la costruzione dell’edificio principale, che completò negli anni ’20. Lo stile fu volutamente un richiamo alla Spagna e ai territori europei che tanto piacevano al tempo.

Fu solamente nel 1941 che la sorte volle cambiare lo status quo delle cose facendo arrivare la persona che avrebbe realizzato il capolavoro che ancora oggi si può ammirare.

La proprietà venne acquistata da una famosa ed eccentrica cantante lirica polacca, interessata alla botanica.

Madame Ganna Walska, 1957, circondata dalla sua iconica collezione di euforbie e cactus, courtesy of Ganna Walska Lotusland.

Ganna Walska, pseudonimo di Hanna Puacz (Brest-Litovsk 1887- 1984) nacque povera, ma questo non le impedì di diventare una delle più celebri socialite del XX secolo.

Hanna si trasferì a San Pietroburgo con lo zio a seguito della morte della madre, avvenuta quando era solo un’adolescente. Qui cominciò gli studi di musica e assunse il nome d’arte che la rese celebre in tutto il mondo. Per i successivi due decenni si esibì come cantante lirica tra New York e Parigi e fece diversi tour in Europa e America.

A detta di molti fu grazie alla mastodontica pubblicità che le fece il marito Harold McCormick, sposato nel 1922 e molto ricco, che riuscì a cavarsela. Divenne allieva di Cècile Gilly che però dichiarò che Ganna non fosse portata per la musica. In molti, a dispetto di quello che sosteneva lei stessa, dissero che a cantare fosse terribile, ma questo non la fece desistere in nessun modo, anzi la spinse ancora di più ad esplorare la sua vena artistica.

Intelligente, sofisticata e molto attenta al denaro, divenne ben presto popolare nelle élite più in voga (e molto chiacchierata dai tabloid!) e a detta di Charles Wagner nel 1928:

“Aveva Qualcosa che teneva destava la loro attenzione, che faceva drizzare le orecchie se veniva nominata”.

Ganna Waska in costume, Bettmann, Getty Images

Capelli corvini, anticonformismo, acume e bellezza la fecero padrona delle mode e degli sguardi di numerosi scapoli ricchi con cui spesso aveva flirt.

Ben presto Ganna, dall’animo curioso e anticipatore delle mode, abbandonò la religione cattolica per darsi al misticismo orientale e allo yoga. Si sposò sei volte, di cui 4 con uomini facoltosi e una con un maestro yogi.

Fu proprio grazie alle pratiche orientali e al matrimonio con Theos Bernard che la sua strada incrociò i 37 acri di Cuesta Linda che comprò e che cominciò ad alimentare in un turbinio di colori e fantasie.

L’idea che abbracciò inizialmente fu quella di creare un luogo per i ritiri spirituali, dove si potessero studiare le Sacre Scritture tramite i Lama Tibetani. Il nome scelto fu Tibetland, a richiamare il suo profondo amore per l’Oriente. 

Per la modernizzazione del giardino venne assunto l’architetto Lockwood de Forest Jr. e nel 1942 la conformazione venne rinnovata una seconda volta, introducendo numerosi cactus, i più famosi protagonisti di tutti i 15 ettari.

Ganna Waska Lotusland, source unknown.

Furono avviati diversi progetti di miglioria operati da Ralph Stevens, figlio del proprietario originale, che progettò i cancelli in ferro sulla Sycamore Canyon Road, la Piscina e la Spiaggia di Conchiglie, la Grotta, Il Teatro e i Giardini Blu dedicati alle piante a foglia glauca, come la Palma Blu del Messico e numerose Agavi.

Il progetto di Tibetland come ritrovo spirituale libero non vide mai la luce a causa dello scoppio della II guerra mondiale. Ganna tuttavia non si fermò, nemmeno quando il marito le chiese l’ennesimo divorzio. Rinominò l’oasi Lotusland in onore del Loto Sacro che cresceva in una delle numerose vasche che coloravano il paesaggio.

Ganna Walska nella piscina del Loto, source unknown.

Fu in questi anni che la donna si reinventò completamente. Secondo la filosofia del massimalismo e spinta da un forte carisma e molta creatività, cominciò a dare vita a qualcosa di straordinario, combinando conoscenze botaniche e artistiche e facendosi aiutare dai migliori dell’epoca. 

Lotusland, source unknown.

Nel ’58 l’artista locale Joseph Knowles Sr. venne ingaggiato per modificare la Piscina nel Giardino Aloe, aggiungendo Conchiglie di Abalone sul bordo e creando suggestive Fontane di Corallo.

Negli anni ’70 venne aggiunto un Giardino Giapponese all’imponente struttura, ormai carica di ornamenti naturali provenienti da ogni parte della terra, alcuni rarissimi o estinti, e allestiti con una vena teatrale e audace.

Veduta aerea del Topiary Garden, dedicato allo stile anti-naturalistico dell’ars topiaria risalente agli antichi romani, dal libro “Lotusland” (Marc Appleton, Rizzoli New York), Lisa Romerein.

Quello che ne uscì fu un paradiso tropicale, un luogo mistico ai limiti del terreno, con oltre migliaia di specie diverse combinate in un insieme eclettico e paradisiaco. Walka realizzò un giardino eccentrico che secondo Marc Appleton, autore del libro Lotusland (Rizzoli, New York)

“sfugge a ogni ordine tradizionale e a ogni logica”.

Per finanziare le ingenti spese che il giardino le richiedeva, Ganna mise all’asta la sua collezione di gioielli tra cui i suoi stimatissimi Fabergè. L’asta, tenuta da Sotheby’s, vide protagoniste diverse gemme dalla preziosità incommensurabile tra cui un diamante briolette da novantacinque carati, una rara selezione di gioielli indiani, collane Cartier e uno smeraldo intagliato Mogul.

La sua mastodontica opera botanica continuò fino alla sua morte, avvenuta il 2 marzo 1984.

La lavorazione dell’oasi naturale continua tuttora come da volere della proprietaria e il suo ingente patrimonio di vestiti (tra cui pezzi di Ertè e delle Callot Soeurs) sono esposti al Los Angeles County Museum of Art.

A detta di Marc Appleton:

“La sua eredità più duratura si è rivelata essere non sul palco, bensì nella terra”

Ganna Walska in her garden, courtesy of Ganna Walska Lotusland.

Per saperne di più: https://www.ad-italia.it/gallery/giardino-botanico-ganna-walska-libro-lotusland/

Altro: https://www.messynessychic.com/2018/04/24/the-diva-who-grew-her-own-exotic-kingdom/

Il sito ufficiale: https://www.lotusland.org/about/madame-ganna-walska/

Il libro: https://www.amazon.it/Lotusland-Botanical-Paradise-Marc-Appleton/dp/084786989X/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&crid=20T2LE6GXVHFG&dib=eyJ2IjoiMSJ9.uyyH53a5nnILCSF34fnMUfi5u5qKuC0sp1TtbACx6WXDevSrLiRs0BRwCKMJlrgFniCpEctqvTWDzJ0fViLfJL2SvVeOS0cfcbrU_Gxz38Ge-ZvWI4qJD59o4e4FYFq6svxXJerGTzOYZwtJ7eXloHplnS0TB9LOk-J5EHGcYJKoKnd5-9wVFHi5WGC5MLDq4ILgI0p-OPxFI4iHd0O26sawkAM0cT03tB2Yszk6-hrnvf0fuFmKFJpA78LtVufpWRJidcdDHDH4XGQcOpCF0N7dOs3xp80DVeuM5356hxI.j7xsI2tvfEctdVb6qhkLWNJ7QN8iEnwJVudbAJTFi9w&dib_tag=se&keywords=lotusland&qid=1729616874&sprefix=lotusland%2Caps%2C91&sr=8-1

Instagram ufficiale: https://www.instagram.com/lotusland_gannawalska/

Breve Compendio di mare e di conchiglie

Da sempre ricca di fascino, la conchiglia incarna una serie di significati variegati e legati perlopiù al mondo delle emozioni e dell’inconscio.

Portatrice di bellezza raggiunge l’apice della perfezione nella sua struttura equilibrata e matematica, fonte di ispirazione per artisti e studiosi di ogni epoca.

Rinascita, fecondità, profondità di animo, mistero, femminilità, amore sono solo alcuni dei significati che le sono stati attribuiti nel corso dei secoli. Non resta che meravigliarsi di fronte alla bellezza di questa creazione ricalcata nell’arte di molti.

Home of Pierre Le Tan as seen by Duncan Grant featuring a grotto chair and a seventeen century Venice console. Via: https://www.instagram.com/acquadiartem/

Portrait of a lady in an allegorical guise, holding a dish of pearls, Pierre Mignard I. Via: https://www.instagram.com/acquadiartem/

Ancient Egyptian gold cosmetics vessels. Via: https://www.instagram.com/acquadiartem/

Syrinx Aruanus. Photo from 1950. Via: https://www.instagram.com/acquadiartem/

Detail from Persia and Andromeda, Joachim Wtewael, 1911. Via: https://www.instagram.com/classica.arte/

Nautilus Cup, Holbein Bowl, Glass Goblet and Fruit Dish, detail, Willem Kalf, 1678. Via: https://www.instagram.com/classica.arte/

Casa Nautilus, Città del Messico.

Wedgwood collection of pearlware shell plates. Via: https://www.instagram.com/acquadiartem/

L’artista tra genio e pazzia

Tra tutti gli artisti del ‘900 uno in particolare conquistò l’interesse di André Breton che arrivò a studiarne la personalità e la produzione.

Adolf Wölfli (Bowli 29.02.1864- Berna 06.11.1930) fu l’esempio vivente del rapporto viscerale tra genio e follia.

General View of the Island Neveranger, Adolf Wölfli, 1911

Nato in una famiglia contadina povera, ultimo di sette fratelli, sin dall’infanzia incontra terribili difficoltà. Il padre, alcolizzato, finisce in prigione e abbandona la famiglia quando Adolf ha soli 6 anni. La madre, lavandaia, non può permettersi di mantenere sette figli così, nel 1873, il piccolo Adolf viene venduto come bracciante.

Alla morte della madre, insorta l’anno dopo, Adolf viene affidato a diverse famiglie che spesso lo maltrattano e abusano di lui.

Responsabile di diversi tentativi di stupro (alcuni ai danni di bambine di 3 e 5 anni) finisce nel manicomio Waldau nel 1895.

Qui la diagnosi di schizofrenia sembra chiarire la condizione dell’uomo che spesso è fortemente agitato, violento e sente le voci.

Nei 35 anni trascorsi all’interno della struttura, passa la totalità del tempo a disegnare e realizzare una biografia monumentale di oltre 25mila pagine.

Il disegno, incoraggiato anche dai terapeuti e dallo psichiatra responsabile, Walter Morgenthaler, sembra calmarlo e dargli un obiettivo di vita che prende seriamente a cuore e che persegue facendosi mettere spesso in isolamento per avere la concentrazione adatta a immergersi nel suo personalissimo mondo.

Irren Anstalt Brand Hain, Adolf Wölfli, 1910

Adolf prende spunto da ogni cosa: riviste, atlanti, cartoline, libri… reinventa la sua vita, il suo passato e il suo futuro nell’ottica, un po’ infantile, di un mondo altro, immaginario, in cui lui stesso è il protagonista unico e assoluto.

Crea parole, immagini, disegni, collage, spartiti musicali che diligentemente assembla nella sua biografia chiamata “Leggenda di Sant’Adolfo”.

Inizialmente scrive con lo pseudonimo di Doufi, nomignolo di quando era bambino, successivamente adotta il nome d’arte di St. Adolf II, protagonista di una battaglia cosmica creata dalla sua mente geniale.

London North, Adolf Wölfli, 1910

Adolf viene studiato per tutta la sua vita. Il dottor Morgenthaler ne scrive una biografia nel 1921, attribuendo al paziente un’abilità artistica innata, forse germogliata proprio in seno alla malattia, mentre Freud ne rimane affascinato.

Wölfi era incolto anche se alcune fonti riferiscono che avesse avuto un umile approccio scolastico finendo i primi anni di scuola. Sicuramente inesperto d’arte, divenne nel corso dei decenni uno dei principali esponenti dell’Art Brut, avvicinandosi alle neoavanguardie del ‘900.

Holy St. Adolf Tower, Adolf Wölfli, 1919

La sua opera è caratterizzata da un estremo ornamento, spesso incorniciato, in cui ritrae con diverse tecniche la realtà. La ripetizione è la chiave del suo lavoro e si mostra meticolosa anche se a tratti infantile, mancando un vero e proprio apporto prospettico alle opere. Dettagli, ghirigori e simboli sono fortemente presenti nell’opera di Wölfi e contribuiscono a creare il mondo immaginario dello stesso artista.

Pioniere rispetto ai tempi in cui viveva, Adolf utilizza la fotografia della lattina di zuppa di pomodoro Campbell nel 1929, Andy Warhol farà lo stesso solo trent’anni dopo.

Campbell’s Tomato Soup, Adolf Wölfli, 1929

Alla sua morte, avvenuta a causa di un tumore allo stomaco, Wölfi viene dimenticato.

Riscoperto da Jean Dubuffet nel 1945, ritorna in auge e viene esposto nel 1972.

Di lui ci rimangono 1300 disegni, quaderni scritti in parole e musica e 25mila pagine di biografia (i cui quaderni raggiungono l’altezza di oltre due metri!).

La sua storia, intrecciata con le vicende personali difficili, violente e illegali, sembra sottolineare uno stretto rapporto tra l’atto creativo e le facoltà mentali.

In quest’ottica Adolf Wölfi rappresenta in tutto e per tutto l’epiteto del genio folle, della visione creativa che nasce e si nutre della pazzia e dei disturbi mentali e che tuttavia rimane una caratteristica innata propria dell’individuo che ancora ci meraviglia e ci stupisce, nascosta nell’intricato mistero della mente umana.

La sua arte è esposta al museo des Beaux-Arts di Berna. Qui il link: https://www.adolfwoelfli.ch

Isadora Duncan: la sacerdotessa della danza moderna

If we seek the real source of the dance, if we go to nature, we find the dance of the future is the dance of the past, the dance of Eternity, and has been and always will be the same.

The movement of waves, of winds, of the Earth is ever the same lasting Harmony”

The Art of Dance, p. 54

Duncan Isadora, portrait photograph, Genthe Arnold between 1916-1918. Genthe photograph collection, Library of Congress, Prints and Photographs Division.

Isadora Duncan nasce a San Francisco il 27 maggio 1877. Ultima di quattro figli, cresce in un contesto fortemente artistico voluto dalla mamma Irlandese e dal padre Scozzese che li abbandona quando Isadora ha un paio di anni.

Il padre, un banchiere, era amante della cultura Greca e aveva scritto un poema intitolato “Intaglio: Lines on Beautiful Greek Antique” che Isadora prende a cuore e da cui inizia a conoscere la cultura Greca che diventerà il perno fondante tutta la sua filosofia di vita.

Nel 1899, poco più che ventenne, arriva a Londra con la famiglia. Qui passa le sue giornate al British Museum per i primi quattro mesi di soggiorno. L’appuntamento quotidiano serviva ad alimentare la sua curiosità e la sua ispirazione, nonché la sua mente colta e raffinata per la storia.

Trasferitasi a Parigi qualche anno dopo, si immerge nelle sale del Louvre, dove scopre inestimabili tesori Greci che diventano la salda e principale ispirazione per i suoi movimenti, poi fotografati dal fratello Raymond.

Isadora Duncan, Unknown.

Fondatrice di un movimento artistico a tutti gli effetti, tiene le prime esibizioni in terra natia, dove ottiene scarso successo. In Europa, al contrario, viene apprezzata come una visionaria della danza e portavoce di uno stilema innovativo e unico.

Isadora Duncan dancing, Genthe Arnold, between 1916-1942 from a negative taken between 1916-1918.  Genthe photograph collection, Library of Congress, Prints and Photographs Division.

Il suo messaggio voleva essere controcorrente rispetto al rigore accademico che vigeva in quegli anni nel mondo del balletto, contornato da costumi stretti e scarpette da punta.

Isadora utilizza abiti semplici e leggeri, molto simili ai pepli greci e danza a piedi nudi, con i capelli sciolti, un’assoluta novità nel panorama di quegli anni.

Il suo metodo è basato sulla creazione di Danze Libere: improvvisazioni emotive suscitate dalla musica di artisti quali Chopin, Beethoven e Gluck.

Fondamentale il sentimento alla base del movimento e la forza della musica.

Le sue idee nascono in seno alla tradizione antica Greca, per cui lei ha sviluppato con gli anni una totale ossessione.

“To bring to life again, the ancient ideal! I do not mean to say, copy it, imitate it; but to breathe its life, to recreate it in one’s self, with personal inspiration: to start from its beauty and then go toward the future”

The Art of Dance, p.96

Isadora Duncan Dancer, Genthe Arnold, between 1915-1923. Genthe photograph collection, Library of Congress, Prints and Photographs Division.

Nel 1903 tiene un convegno a Berlino, il tema è la danza del futuro e da molti sarà visto come il Manifesto della Danza Moderna.

Nel 1904 fa una tournée a San Pietroburgo, dove influenza fortemente la compagnia dei Balletti Russi.

Fonda diverse scuole in Europa e in Russia, dove porta avanti il suo metodo basato sulla ricerca del movimento libero e naturale.

Isadora Duncan dancer, Genthe Arnold, between 1916-1918. Genthe photograph collection, Library of Congress, Prints and Photographs Division.

Isadora è anche pioniera di una nuova visione della donna. Staccatesi dai corpetti stretti a seguito della prima guerra mondiale, le donne volevano dare spazio alla propria fisicità senza costrizioni di genere. Isadora diviene un punto di riferimento per la rivoluzione di costume di quegli anni e la sua libertà spaziò molto anche nell’ambito del matrimonio, fino ad allora considerato sacro e imperituro.

Isadora infatti si sposa tre volte. Dalla prima relazione con Edward Gordon Graig nasce la figlia Deirdre. Dal secondo matrimonio con Paris Eugene Singer, il fondatore dell’omonima azienda di macchine da cucire, nasce il figlio Patrick.

Nel 1913 però la tragedia la colpisce in maniera dura e inaspettata.

Durante una passeggiata in auto sulla Senna, l’auto che trasportava i figlioletti e la governante si guastò. Il conducente scese per cercare di avviare il motore a manovella, ma dimenticò di inserire il freno a mano e l’auto scivolò nel fiume.

L’anno dopo, da una breve relazione con un Italiano, dà alla luce un terzo figlio, che muore poco dopo il parto.

Presa dalla disperazione per il lutto, Isadora si dà all’alcol e smette di praticare come un tempo.

Gli amici fanno da scudo attorno a lei e se ne prendono cura. In particolare Eleonora Duse, che la ospita a Viareggio per diversi mesi.

Successivamente si sposa una terza volta con il Russo Sergey Esenin, di diciotto anni più giovane, che non parlava una singola parola di inglese. Isadora sapeva poche parole di russo e il matrimonio dura solo 15 mesi a causa del carattere turbolento del compagno, dedito alle scenate a causa dell’abuso di alcol. Esenin la lascia e due anni dopo si suicida.

Con fatica Duncan riprende la forza di danzare e di occuparsi delle sue allieve, chiamate le “Isadorables”, e della sua attività.

La nuova tournée americana è un nuovo fiasco e le vengono mosse pesanti critiche sul suo aspetto fisico, compromesso dall’abuso di alcol e dalla depressione.

Trascorre gli ultimi due anni della sua vita tra Nizza e Parigi.

Il 14 Settembre 1927, Benoit Falchetto, un amico e amante di Isadora, passa a prenderla con la sua Bugatti Type 35 ad un ristorante sulla Promenade Anglais a Nizza.

Isadora indossa una lunga sciarpa a frange che lascia volare libera al vento.

Prima che la macchina parta, saluta gli amici, alcuni dicono con la frase ” Adieu, mes Amis. Je vais à la glorie!”, altri dicono con “Je vais à l’amour!”.

Subito dopo accade l’inverosimile: la sciarpa si impiglia nei raggi della ruota dell’auto, spezzandole l’osso del collo di netto.

La fine tragica di Isadora afflisse tutto il panorama artistico di quegli anni, compresa Gertrude Stein.

Rimane tutt’oggi una delle più grandi artiste del panorama del balletto, una mente vivace, introspettiva, pronta al contatto con la natura e al contatto con il proprio sè. Pioniera di una rivoluzione del movimento che continuerà per tutto il novecento, riportò in auge l’antichità classica conferendole un valore inestimabile.

“The true dance is expression of serenity. it is controlled by the profound rhythm of inner emotion. emotion does not reach the moment of frenzy out of a spurt of action. it broods first, it sleeps like the life in the seed, and it unfolds with a gentle slowness.

The Greek understood the continuing beauty of a movement that mounted, that spread, that ended with a promise of rebirth.

The Dance- it is the rhythm of all that dies in order to live again; it is the eternal rising of the sun.”

The Art of Dance, p.99