Sharon Tate’s Legacy: Recollection

Il mio interesse per Sharon Tate è nato da una semplice fotografia: l’attrice indossa un abito azzurro con colletto bianco e sta seduta a un cafè parigino degustando una bevanda calda.

Non sapevo molto di questa giovane bellezza ed essendone rimasta particolarmente colpita, ho cominciato a cercare informazioni su di lei, incappando nella vicenda Manson.

Incredibilmente la sua morte rappresenta il fulcro della sua popolarità, eppure si tende a dimenticare chi fosse quando era in vita.

Sharon nasce nel 1943 da Doris Gwendolyn e PJ Tate, è la loro prima figlia, è sana e bella.

Cresce in un ambiente felice e sereno e sogna di diventare una ballerina o una psichiatra, ma coltiva anche l’ambizione di diventare una star del cinema.

La sua straordinaria bellezza la fa notare da numerose persone, tant’è che nel 1959 partecipa ad un concorso di bellezza che la vede vincitrice.

Nel 1960, a causa del lavoro di militare del padre, la famiglia Tate si trasferisce a Verona, dove soggiornerà per diversi anni. Qui Sharon vive spensierata e felice.

Sharon Tate, 1961, Verona.

Nel 1962 la giovane si trasferisce a Los Angeles dove decide di tentare la carriera d’attrice, incoraggiata dalla sua bellezza e dall’esperienza positiva del set, che l’aveva vista come comparsa nel film “Le avventure di un giovane” con protagonista Paul Newman.

Nel 1963 partecipa alla serie “The Beverly Hillbillies” in cui fiancheggerà Max Baer.

Sul set di “The Beverly Hillbillies” nell’episodio “The Garden Party”, 1 Agosto 1963

Nel 1964 incomincia una relazione amorosa con il parrucchiere delle star Jay Sebring, che incontrerà la morte insieme alla ex ragazza per mano della Family di Manson nella tragica notte del 9 Agosto 1969.

1965, by Pierluigi Praturion

1965, by Tatami

Verso la metà degli anni sessanta si reca a Londra per un ruolo in “Eye of the Devil”. Qui ha modo di frequentare l’ambiente culturale della Swinging London, fatto di moda e stravaganza, discoteche e acido (di cui tuttavia non fa mai uso, se non saltuariamente).

Sharon as Odile de Caray, “Eye of the Devil”, 1966

“Eye of the Devil”, 1966

“Eye of the Devil”,1966

In questo periodo incontra l’amore della sua vita, Roman Polanski, con cui recita nel film “Per favore non mordermi sul collo!” del 1967.

Nello stesso anno interpreta Malibu in “Don’t make waves”. Nel film posa in diverse scene in bikini, dove emerge tutta la sua bellezza e tonicità.

Al tempo si prediligeva un aspetto androgino, più vicino alle figure di Twiggy o di Mia Farrow, piuttosto che un fisico tonico e sodo come quello di Sharon. Tuttavia, a dispetto di questo, la Tate emerge come icona sensuale introducendo per la prima volta un tipo di corpo molto più sportivo e curvilineo, che lascia spazio a forme più “rotonde” e dolci.

Tony Curtis e Sharon in “Don’t Make Waves”, 1967

Sharon sul set,1967
Sharon in “Per favore non mordermi sul collo!”, 1967

Il suo ruolo più celebre rimane tuttavia quello di Jennifer North in “Valley of the dolls”, film ispirato al romanzo omonimo del 1967.

Debra Tate, sorella di Sharon, ricorda come il make-up del film fosse estremamente innovativo per il periodo, ispirato alle tecniche usate negli anni ’30 da Greta Garbo.

In questo contesto cinematografico lo sguardo della Tate viene accentuato usando la famosa “banana”, la linea scura, per intenderci, sopra la palpebra, che rimane tutt’ora l’icona indiscussa dello stile degli anni sessanta.

Il film uscì a Dicembre di quell’anno e ottenne recensioni miste, ma fu un successo al botteghino.

Nel Febbraio successivo Sharon viene nominata per il suo primo, e sfortunatamente ultimo, Golden Globe.

“La valle delle bambole” viene considerato ancora oggi un classico del periodo e l’interpretazione della Tate la migliore della sua carriera.

Sharon con Tony Scott in “La valle delle bambole”, 1967

primo piano di Sharon in “La valle delle Bambole”, 1967, by Luis Goldman

La valle delle bambole, 1967, con il classico trucco a “banana” che diventò popolare grazie a lei.

Il 20 Gennaio 1968 è un anno importante per la vita privata di Sharon che convola a nozze con Roman a Chelsea, con un rito non convenzionale e con una festa nuziale svolta al club di Playboy.

Nozze di Sharon, 1968

Sharon e Roman aprono i regali di nozze, 1968

Famosissimo l’abito che indossò per l’occasione: moirè di seta avorio mini, proprio come voleva la moda degli anni sessanta. L’acconciatura prevedeva una grossa chioma con fiocchi rosa e bianchi tra i capelli.

Nel 2018 l’abito è stato battuto all’asta di Julien’s Auction per 56,250 dollari.

Sfortunatamente questa bellezza texana non arrivò oltre l’anno 1969. Il 9 Agosto, infatti, incinta di otto mesi del suo primo figlio (con Roman), venne accoltellata da alcuni membri della family di Manson per ragioni ancora non del tutto chiare.

Bisogna pensare che quello era un periodo storico relativamente spensierato. La rivoluzione Hippie degli anni sessanta aveva portato masse di giovani nell’ovest americano, alla ricerca di svago e di una nuova forma di vita, meno rigida e impositiva di quella del decennio precedente.

Non era inconsueto trovare per strada ragazzi che rovistavano nella spazzatura e gente a piedi nudi. La stessa Debra Tate ricorda come lei e la sorella spesso andassero nel centro di Los Angeles scalze e come la cosa fosse del tutto normale per il tempo.

Questa libertà e serenità era sentita da tutti, al punto tale che le persone non chiudevano le porte di casa poiché non si vedeva nell’altro il “nemico”. Girava moltissima droga, acidi per lo più, e prevalevano i party sulle colline Hollywoodiane.

La stessa Didion ricorda quegli anni come un periodo in cui non era inconsueto trovarsi un estraneo in casa. Dichiarerà nel suo “The White Album”, riferimento all’album dei Beatles da cui prenderà spunto Charles Manson per il suo Helter Skelter, che gli anni sessanta finirono proprio con la morte della Tate.

E ripensandoci fu così.

L’uccisione di una ventiseienne, incinta, nella propria casa, fu un segno chiaro del cambiare dei tempi, della nuova mentalità che si stava affacciando nelle vite delle persone. La spensieratezza e la leggerezza di quegli anni si persero inevitabilmente nei fatti drammatici di quella notte.

Tuttavia, nonostante la tragedia che la vide protagonista, la Tate rimane un’icona di stile e di bellezza, di carisma e talento. Ancora oggi ricordata positivamente da coloro che l’hanno conosciuta, porta avanti il suo status di sex symbol e di ispirazione per le nuove tendenze.

Valley of the Dolls, 1967

Orlando, 1966

Cannes, Maggio 1968

Sharon, 1969

Una delle ultime foto scattate a Sharon, Agosto 1969, pochi giorni prima dell’omicidio

Misteri e chicche della vecchia Hollywood

Ogni città ha le sue particolarità, alcune, più di altre, riescono a custodire dei piccoli gioielli di storia.

Tra le colline Hollywoodiane che si stagliano verso il blu intenso, si trovano delle rovine piuttosto singolari.

La spider Pool, una volta sfondo di una bellissima dimora appartenuta a Jack McDermott, è ora una parete abbandonata, rotta, tra piccoli arbusti che crescono incontaminati.

Tuttavia il suo fascino permane.

Jack comprò un esteso appezzamento di terreno situato sulle colline Hollywoodiane nel lontano 1921. Era situato così in alto e così lontano dal resto delle abitazioni che rimase senza strada sino al 1962, isolato e incontaminato nel verde naturale che lo abbracciava.

La casa venne costruita sino dai primi anni venti e divenne ben presto teatro di feste spettacolari e dei gusti decisamente insoliti del suo proprietario. Famosa già alla fine della sua costruzione, ottenne un breve cameo nel film “Hollywood the unusual” del 1927.

La casa e Jack

La casa, denominata “crazy house”, vantava l’arredamento delle scene cinematografiche che Jack aveva la possibilità di visitare grazie al suo lavoro nell’industria

Incorporati al suo interno c’erano cimeli provenienti da diverse produzioni come “The Mark of Zorro”, “Robin Hood” e molti altri, caratterizzando uno stile eccentrico e seducente, rimando ai tempi antichi e all’elemento orientale.

Jack seduto a terra nella villa

L’interno della sfarzosa villa

Ospiti seduti a terra

Un bagno della casa

Jacki in cortile

Tra gli elementi distintivi della villa c’erano tunnel sotterranei, caminetti situati sotto i letti, arte orientale e persino un falso cimitero. E per qualche strano motivo non vi erano sedie.

Jack presso il falso cimitero

Ma l’aspetto più affascinanti era sicuramente la piscina, denominata “Spider Pool”, costruita nel 1933, che si vide protagonista di un articolo del 1949:

“A labyrinth of dark subterranean passageways which honeycomb the ground under the hillside, the sliding doors and panels lend an eerie touch to the fantastic abode, which contrasts startlingly with the sun bathed swimming pool inlaid with thousands of hand-painted French and Italian tiles in a spider design. It was inevitable that such a storied castle should become the scene of gay film colony parties, and in the years gone by it rang with merriment by night.”

dettaglio della vedova nera realizzata sulla parete della piscina

La casa era luogo di feste sfarzose, quasi surreali, alimentate da musica, alcol e spettacoli per intrattenere gli ospiti, prevalentemente le élite Hollywoodiane e i grandi ricchi del tempo.

Per immaginarci il tipo di vita che si svolgeva all’apice della collina, dobbiamo far riaffiorare alla mente il personaggio stravagante di Gatsby con un briciolo, o forse un bel po’, di amore per le pin-up.

Quando gli ospiti erano troppo ubriachi si dice che Jack, con fare scherzoso, li conducesse nella “upside down room”, una stanza costruita appositamente per creare confusione, molto simile a quella che si trova nel film “Rose red” di Stephen King.

Ospiti seduti per terra

I party finirono quando Jack, 53enne, prese una dose massiccia di pillole per dormire. La proprietà venne quindi lasciata al nipote, ma non sopravvisse la prova del tempo senza il suo naturale possessore. Quasi sei mesi dopo la sua morte, il 31 Gennaio 1947, un incendio di origine sconosciuta rovinò la villa danneggiando parte della struttura originaria. Tra il 1947 e il 1949 la casa venne venduta a un altro eccentrico personaggio: Carl Brainard.

Dopo anni di negligenza dovuti anche alla responsabilità di Brainard, fu acquistata da Darrell e Frances Gregory. L’idillio durò poco, la casa venne infatti dichiarata pericolosa e rasa al suolo nel 1962. Di questa rimase solamente la piscina, di cui nessuno si interessò per molto tempo, lasciandola in stato di abbandono.

La famiglia Gregory in piscina

Fu solo negli anni 2000, grazie a internet, che riemersero diverse fotografie di giovani donne che posavano seminude di fronte alla muraglia intarsiata di mattonelle blu. Tra queste vi erano importanti figure del mondo del pin-up, come Tura Satana, Betty Blue e Jaqueline Prescott.

Le foto, risalenti agli anni 50, mostrano però la bellezza della costruzione originaria. Un Murales gigante con una grossa vedova nera sovrastava la piscina orientaleggiante.

Nel 2004 fu ritrovato il sito e il murales ancora intatto, e fu così che si scoprirono dettagli della casa e delle sue avventure, fino a identificare le opere di vari fotografi come Harold Lloyd e John Willie.

Betty Blue
Dolores del Monte
Modelle

Modella posa nuda presso la Spider Pool

Jaqueline Prescott

Jaqueline Prescott

Betty Blue

Modelle

Tura Satana By Harold Lloyd

Tura Satana By Harold Lloyd

Betty Blue

Nel corso degli ultimi anni la bellissima struttura acquatica è andata in rovina, generalmente grazie allo stato di negligenza in cui verteva da ormai troppo tempo. La proprietà iniziale è stata acquistata e si è proceduti con lo smantellamento delle strutture rimaste, lasciando solamente piccoli frammenti di ceramica colorata ai piedi di una collina.

Per il tour completo:

Marilyn Monroe, un’icona di stile poco conosciuta

Era Norma Jeane prima di diventare Marilyn. Una ragazza in preda a famiglie d’affido e una vita molto difficile. Fu solo nel 1947, all’età di ventun anni che riesci a sbarcare con il suo primo ruolo Hollywoodiano. Inizialmente reputata inadatta a ruoli drammatici, con uno scarso futuro d’attrice, nel 1953 ebbe l’anno della sua consacrazione a stella del cinema. Fu una strenua lavoratrice, sempre pronta a mettersi in gioco e migliorarsi.

Fino alla fine della sua vita, avvenuta per un’overdose di barbiturici all’età di 36 anni, fu considerata dall’industria maschilista e patriarcale del tempo solamente una bomba sexy, un’attricetta di commedie che riusciva a canticchiare e ballare, ma non ancora un’artista a 360 gradi, con capacità ben oltre i ruoli che le venivano affidati.

La sua vita amorosa fu turbolenta e spesso instabile. Ebbe diversi mariti, alcuni dei quali si rivelarono violenti, come Joe di Maggio, altri che la sminuivano come persona come Arthur Miller, che scrisse nel suo diario quanto fosse deluso dalle abilità dell’attrice.

Il suo sogno nel cassetto rimase sempre la maternità, cercata, sperata e pregata, che non arrivò mai a compimento (sembra che avesse avuto alcuni aborti). Reduce di una situazione materna difficile alle spalle, con questioni di natura psichiatrica e un abbandono piuttosto traumatico, Marilyn cercava conforto nell’idea di un figlio che potesse ridarle la gioia e l’amore che non aveva mai potuto provare.

Fu senza dubbio un’icona di stile e grazia. Estremamente colta, intelligente e perspicace si dava alla lettura ogni volta che poteva, a dispetto di coloro che la definivano una bionda stupida.

Attenta allo stile, inizialmente abbracciò la rigidità imposta dalla moda degli anni ’50, usando vestiti volti a valorizzare le sue curve e farci cadere l’occhio.

Celebre è la vicenda del vestito color Nude, costellato da brillanti che indossò per cantare “Happy Birthday Mr President” a John Kennedy, suo amante e allora presidente degli Stati Uniti. Fu battuto all’asta per 5,5 milioni di dollari.

Verso la fine degli anni ’50, con il suo esordio cinematografico più “serio”, la Monroe optò per uno stile meno costruito sul modello pin-up per indossare abiti piuttosto semplici.

Pantaloni capri e dolcevita, piedi nudi e un buon libro rappresentano appieno lo stile di questa donna ormai al culmine della sua carriera.

Il trucco sempre presente e l’acconciatura apposto l’hanno resa un classico che per generazioni continua ad affascinare. La vicenda drammatica l’hanno elevata a sogno proibito, anima estremamente gentile e sensibile che è andata incontro alla morte prematuramente.

circa 1955: American actor Marilyn Monroe (1926 – 1962) stands barefoot near a window in a sweater and checkered pants. (Photo by Hulton Archive/Getty Images)

1632160 American actress and singer Marilyn Monroe (1926 – 1962) at home 1951 (photo); (add.info.: L\’actrice et chanteuse americaine Marilyn Monroe (1926 – 1962) chez elle en 1951 — American actress and singer Marilyn Monroe (1926 – 1962) at home in 1951); Diltz.

Poesia di un’estate surrealista

Mougins, Costa Azzurra, 1937.

è facile immaginarsi quell’estate. Con un po’ di fantasia si riesce perfino a sentire le risate e le chiacchiere delle persone. Fa caldo sulla costa francese. All’hotel Vaste Horizon, una modesta pensioncina, alloggiano alcuni amici che fanno baccano e si danno principalmente al bere e alle risate. Da fuori potrebbe sembrare un quadretto qualunque, in realtà il gruppo è formato da alcuni degli artisti più illustri del ‘900.

Nelle fotografie in bianco e nero possiamo scorgere Pablo Picasso accompagnato da Dora Marr, Rolan Penrose con la bellissima compagna Lee Miller, Man Ray, Paul Eluard e sua moglie Nusch.

In questo contesto festoso e surrealista sboccia l’amore tra lo stesso Pablo e Dora, ex amante di Bataille, con cui ebbe per anni una relazione malata e tossica, fatta di tradimenti continui, fughe d’amore e sadomasochismo.

Dora, sedotta e abbandonata, conobbe Pablo in un cafè parigino. La giovane, al tempo 28enne, stava cercando di colpire gli spazi tra le dita ben aperte sul tavolo con un coltello. Era incurante e impassibile di fronte a ogni ferita che poteva provocarle la lama. Picasso, affascinato da questo insolito gioco, si avvicinò e le chiese in dono i suoi guanti, che poi appese in casa sua come un preziosissimo cimelio d’arte. Da lì in avanti i due rimasero in contatto e proprio sulle Costa Azzurra diventarono amanti. Lei era molto bella, e a dire di Picasso, anche insolitamente alta per una giovane donna. La relazione durò dieci anni, un lungo periodo in cui lo stesso Pablo ebbe moltissime altre amanti, giovani e vecchie, ma rimase fedele sotto certi aspetti a quella che considerava essere la sua musa.

Picasso e Dora

Lei lo fotografò numerose volte, arte che affinò dalla frequentazione dello studio di Man Ray, mentre lui la dipinse in diverse opere. Picasso però non era un uomo semplice. Con alle spalle un divorzio spinoso e due figli, avuti da due donne differenti, una schiera troppo numerosa di amanti, si sentiva un dio nella sua arte. L’unico dio. Nessuno poteva eguagliarlo.

Paul,Adrienne, Picasso, Dora, 1937, Spiaggia, Lee Miller Archives

Lei, artista della fotografia, non voleva in nessun modo competere con il suo talento, ma Picasso la costrinse ad abbandonare la sua arte per dedicarsi alla pittura, sicuro di umiliarla per bravura e stile. Inutile dire che questa relazione finì tragicamente, con Dora sull’orlo di un esaurimento nervoso per via delle cattiverie narcisiste e imposizioni di Pablo.

Picasso, Mougins, 1937, Lee Miller Archives

Photograph of Dora Maar, Nusch, Pablo Picasso and Paul èluard on the beach September 1937 Eileen Agar

Pablo Picasso and Dora Maar, From Lee Miller Archives

Lee, che da poco aveva intrapreso una relazione con il curatore d’arte Rolan, aveva posato per Man Ray in numerose occasioni e ne era stata per anni l’amante. La sua bellezza le aveva garantito un lavoro da modella per Vogue nel 1929, carriera che era finita a causa di una scandalosissima pubblicità per assorbenti a cui aveva prestato il volto. La cosa non sembrava dispiacerle troppo, dal momento che era più interessata a stare dietro l’obiettivo piuttosto che esserne ritratta. Da qui avviò una carriera come reporter che durante la II guerra mondiale la vide impegnata a documentarne le atrocità.

Dora, Picasso, Lee, 1937, Lee Miller Archives

Sempre fedele al surrealismo all’interno dei suoi scatti, imparò la tecnica da Man Ray, spesso sollevandolo da lavori di natura più femminile. Fu così brava nell’imparare dal maestro che le tecniche utilizzate rendono difficile ancora oggi identificare l’autore di uno scatto.

Lee Miller and Dora Maar, Mougins, 1937, From Lee Miller Archives

Man Ray, del canto suo, era giunto in Costa Azzurra con il suo nuovo interesse, una ballerina di nome Adrienne Fidelin.

I rapporti tra lui e Lee erano buoni e amicali e se la cosa ci pare strana basti ricordare che nel contesto surrealista del tempo le amanti venivano scambiate volentieri tra amici e i rapporti amorosi piuttosto che intimi erano materiale energetico per le arti.

Man Ray e Adrienne, 1937, Lee Miller Archives.

Affascinato dalla luce celeste della costa e dalla situazione che si era creata tra i partecipanti della vacanza, scattò numerose foto, ispirandosi principalmente alle figure femminili che rappresentavano delle muse moderne, delle ninfe capaci di rapire le attenzioni di ogni uomo con i loro seni nudi e abbronzati e i capelli al vento.

Picnic, Mougins, 1937, Nusch, Paul Eluard, Rolan Penrose, Man Ray and Ady Fidelin, From Lee Miller Archives.

Picasso, Man Ray e altri, Lee Miller Archives

Picasso e gli altri sulla spiaggia, Lee Miller Archives

In questo contesto festoso e decadente sono sicuramente nati dei capolavori. Per esempio Picasso cominciò a formulare la sua opera più celebre: Il Guernica. Man Ray e i Penrose invece realizzarono dei reportage fotografici di un’intensa bellezza che ancora oggi ci rendono possibile immergerci in questa realtà magica ed eterea, fatta di sale, mare, sole, arte, alcol e sesso.

Adrienne, Man Ray 1937.

Un connubio così azzeccato non sarà più possibile per i nostri artisti e generalmente la spensieratezza con cui vissero questa estate potrà riemergere solo a cavallo degli anni ’60. Alle porte di una tragedia mondiale, poco prima del terrore e della disperazione, quell’estate rappresentò il fulcro e l’apice della vita stessa. Un sogno lontano, che noi moderni non possiamo rivivere se non attraverso l’immaginazione.

Nusch all’hotel nel 1937, Lee Miller Archives

Adrienne, Lee, Picasso e Nusch all’hotel, 1937, Lee Miller Archives

Il gruppo durante un momento di svago, 1937

Nusch, 1937, Lee Miller Archives.
Adrienne e altre giovani donne sulla Spiaggia di Antibes, 1937

Fotografie varie degli artisti in vacanza a Mougins, 1937, Rolan Penrose, Lee Miller Archives.

Per vedere tutte le fotografie di quella estate:

Arte mistica: Hilma Af Klint

Svedese, nata nel lontano 1862. Sin da giovane si interessa di matematica e botanica, ma è la pittura che finirà per coinvolgerla totalmente.

Abilissima nei paesaggi, che le permisero un certo guadagno, rimase tuttavia affascinata ad un altro tipo di arte che la rapì totalmente anche sul piano personale.

Dopo la morte della sorella minore, avvenuta nel 1880, Hilma si avvicinò sempre di più ad una dimensione spirituale che fino ad allora era mancata nella sua realtà.

Cominciò a interessarsi ad astrazione e simbolismo soprattutto a seguito del suo coinvolgimento nello spiritismo, tanto in voga al periodo.

Si avvicinò alla teosofia di Madame Blavatsky, alla filosofia di Christian Rosenkreutz e infine conobbe l’illustre Rudolf Steiner, fondatore della società antroposofica.

Influenzata da questi studi, incominciò a sperimentare nella sua arte la dimensione spirituale, filosofica ed esoterica che al tempo influenzò artisti di alto calibro come lo stesso Kandinsky.

Durante la stesura dei suoi lavori, la Klint si reputava un tramite attraverso cui poteva essere materializzato il volere di una coscienza superiore.

Durante la sua permanenza all’accademia delle belle arti, conobbe e strinse amicizia con Anna Cassel, una delle quattro donne con cui formò un solido gruppo chiamato “le cinque”. Queste, attive dal 1896 al 1908, si dedicarono a registrare messaggi da entità superiori in stati di trance usando la tecnica della scrittura automatica per tramandare i loro messaggi.

Questa esperienza influenzò moltissimo la sua produzione.

Estremamente prolifica nella sua arte, nel suo testamento lasciò l’istruzione di pubblicare i suoi lavori spirituali solo vent’anni dopo la sua morte, in quanto non credeva che il mondo fosse pronto a comprenderli.

Per vedere alcune delle sue opere è necessario collegarsi al sito della fondazione responsabile dei diritti d’autore dell’artista che riporta alcune immagini dei più bei dipinti da lei realizzati.

Hilma af Klint, The swan, No 1, 1915

Ad oggi rimane una delle più illustri pittrici simboliste dei primi del novecento.

Nelle sue opere si può notare la ricercatezza delle forme, mai banali, sempre cariche di significato e dei colori, vivaci, vivi, preludio a un mondo immaginario – o forse reale- che spazia dal simbolico all’esoterico con una bellezza non indifferente, carica di significato catartico.

Per ammirare queste straordinarie opere è necessario osservarle senza porre l’accento sulle loro contraddizioni interne, fatte da ripetizioni, sovrapposizioni, linee e ghirigori che incontrando lo spettatore non esperto parrebbero essere realizzate da una mano infantile.

Hilma af Klint, Altar piece, Group X, 1907

Il suo sapiente uso del colore è caratterizzato da un forte simbolismo interno: il giallo sta a significare l’aspetto maschile, il blu lo spirito femminile, il rosso l’amore spirituale e fisico.

Hilma af Klint, Primordial Chaos, No 16, 1906-1907
Hilma af Klint, Svanen, No 17, 1915

Per comprendere appieno i suoi lavori si può usare uno sguardo intellettivo piuttosto razionalista, oppure, come forse era lo stesso volere dell’artista, lasciare che questi ti parlino senza porre alcun freno al messaggio che intendono porti.

Hilma af Klint fu una visionaria del tempo, piuttosto avanti rispetto alla società in cui si trovava.

Ossessionata dalla necessità di conoscenza e comprensione di ciò che la circondava, rimarrà per sempre un’innovatrice, una matriarca dell’arte.

Serie di nicchia da amare: un monologo.

Quante volte ci è capitato di discutere con gli amici di nuove serie tv che ci appassionano? Spesso si tratta di cose estremamente mainstream, proiezioni di una visione comune.

The Oa scardina questo mito retrogrado e porta avanti una profonda intuizione.

Τhe Oa, ovvero Original Angel, è stata scritta e diretta dal genio creativo di Brit Marling (classe ’82) e Zal Batmanglij (classe ’81), amici di vecchia data e partner lavorativi in diversi progetti. Questa serie anticonformista tratta di temi piuttosto profondi che incoraggiano una riflessione tutt’altro che banale.

La trama si incentra su questioni di natura spirituale: la vita dopo la morte, vista come passaggio, la reincarnazione e l’anima immortale. La protagonista, Prairie Johnson, si ritrova a subire una NDE, un’esperienza pre-morte, che la vede poi tornare sulla terra, in questa dimensione, con un grande limite: la cecità. La volontà di ritrovare il padre la porta poi a subire un’avventura spiacevole che la vede cavia di laboratorio proprio perché ha visto cosa c’è “oltre” e perché questa visione le ha lasciato un talento che ha un qualcosa di mistico e soprannaturale.

Studiata in ogni minimo dettaglio, questa perla cinematografica ci permette di riflettere su questioni ben più ampie della nostra mera esistenza e ci immerge in qualcosa che è al di là di ciò che ci aspettiamo, provocando una catarsi interiore che ci eleva verso nuovi orizzonti.

Qualcuno, di fronte a questi temi impegnati, potrebbe storcere il naso. In fondo una serie televisiva deve principalmente (o solamente?) garantire divertimento e leggerezza. Essere uno spiraglio di positività nella nostra solita routine. Quel programma che guardiamo di fronte a un buon calice di vino.

Sì, sicuramente c’è una componente di disimpegno nel guardare qualcosa di “superficiale”, ma se siete un minimo interessati a temi non convenzionali, ve la consiglio.

Il cast vede come protagonisti la stessa Marling, già vista in “The East”, “Another Earth”, “I Origins”, solo per citarne alcuni, Kingsley Ben Adir, Jason Isaacs, meglio noto come il famigerato Lucius Malfoy in Harry Potter, e molti altri dall’inconfutabile talento.

Parliamoci chiaro, non attorini alle prime armi.

Scritta per essere sviluppata in diverse stagioni, non ha superato il critico limite di Netflix, che l’ha vista concludersi (per ora) alla seconda stagione.

La narrazione porta avanti una story-telling di incredibile ricchezza, data proprio dalla partnership di cui sopra, indice di una spiccata sensibilità verso il mondo e verso sé stessi.

La recitazione è, come già detto, della miglior fattura. La Marling riesce con il suo talento a coinvolgere lo spettatore senza risultare esosa, egocentrica, ma delicata, dolce, sensibile ed estremamente convincente.

I personaggi sono caratterizzati in maniera completa e ben orientati in una narrazione già di per sé complessa. Interessante notare che Brit mollò un lavoro certo da Goldman Sachs dopo una laurea in economia ottenuta con eccellenti risultati ( era la migliore del corso) per dedicarsi all’arte cinematografica, un po’ contro il parere comune. Tra gli esperimenti che ha condotto anche il vivere per strada e nutrirsi solo di ciò che trovava, cosa che non si addice a una giovane donna estremamente brillante-probabilmente ai limiti della genialità-, promettente e di buona famiglia. Lei stessa definì quell’esperienza una NDE personale.

In un contesto che vede nella superficialità il fulcro dell’esistenza umana, non sorprende che poche persone si siano appassionate a questa esperienza televisiva di natura metafisica. Eppure raccoglie i suoi fan in tutto il mondo. Fan che continuano a punzecchiare Netflix per riavere la loro serie preferita. Interessante è inoltre notare come la fandom di questa serie sia estremamente eterogenea. Si può notare come molte identità siano persone che appaiono emarginate, diverse dagli standard, appassionate di esoterismo, padrone di una vita che va al di là degli stereotipi sociali.

Di sicuro è una serie per pochi.

Se siete appassionati di cose “easy” è meglio che non proviate nemmeno a guardare il primo episodio. Vi annoiereste e basta. Se siete interessati ad analizzare i vari “perché” allora siete nel posto giusto. Potrete aprirvi a qualcosa di innovativo, spiazzante, profondo, divertente, che forse potrebbe darvi una piccola soluzione a quei grandi interrogativi che tutti ci poniamo.

Joan Didion: quell’amica geniale

Vi chiederete perché un articolo su Joan Didion in un mondo già pieno di articoli su Joan Didion. In effetti mi sono imbattuta in questa scrittrice e giornalista solo di recente. La delicata essenza che emana dalla scrittura è, per certi versi, molto simile a quello che scrivevo negli anni passati, da adolescente. Questo accostamento fortunato e inaspettato mi ha portata a cercare di capire di più di lei.

Nata negli anni 30 e vissuta a Sacramento per i primi anni di vita, questa promessa letteraria cominciò a scrivere sin dalla tenera età, come ricorda lei in un suo famoso saggio, “per capire cosa pensassi”. L’esperienza della scrittura le rimase addosso e decise di ampliarla facendo un concorso per giovani talenti a Vogue. Da lì cominciò a scrivere sempre di più come giornalista freelance e la sua carriera prese il decollo. Il suo attento sguardo alle vicende umane e il suo enorme talento le valsero una candidatura al Pulitzer, che non vinse, classificandosi comunque tra i finalisti.

Di fronte a tanta capacità, forse, è da chiedersi perché NON scrivere su Joan Didion.

L’attenzione ai particolari, ai dettagli che normalmente sfuggono all’occhio meno pronto, la capacità di mettere su carta quell’esatta sensazione, la capacità di rievocare momenti, lontani e labili, ne fanno una straordinaria scrittrice.

Una donna piccola, forse un metro e sessanta scarsi, con un grande occhio.

Fortunata, in parte, dal punto di vista letterario. Sfortunata dal punto di vista personale: perse il marito e la figlia adottiva nel giro di un anno.

Tuffarsi in una delle sue opere più illustri, “The White Album”, è un immedesimarsi nel passato degli anni 60, nella vita quotidiana prima degli omicidi della setta Manson, nella vita che a quel tempo sembrava libera da ogni freno inibitore. Si può dire che dalla lettura di queste pagine ben rilegate ci si possa sentire parte di un passato che non è poi così lontano.

Pioniera della sottile arte del New Journalism, colorito da sensazioni personali e impressioni vivide, la Didion si fece portavoce di un’intera generazione. Lontana dallo sperimentalismo spericolato degli anni sessanta, si avvicinò moltissimo alla politica, con uno sguardo vivace e intelligente. Le sue opere migliori vennero però, almeno secondo la critica specializzata, negli ultimi anni della sua vita. A seguito del duplice lutto, prima del marito, anch’egli scrittore, John Dunne, e poi della figlia Quintana, scrisse due opere mirabili: “The Year of Magical Thinking” e “Blue Nights”. Queste ultime, sul tema del dolore della perdita, portano luce sulle opinioni di una scrittrice atea che analizza in maniera profonda e ricca il momento stesso della fine di un rapporto, delle conseguenze di questa fine, e della vita che, inevitabilmente, va avanti. Prolifica e attenta a ciò che pubblicava, rimane sempre una fonte inesorabile di ispirazione rendendo la vita, per quanto banale, l’unica vera musa.

Diary of a Weekend Getaway

Spring is coming. Everywhere blossoms and perfumes from another time. Green views that seem to melt into the deepest of the skies.

I’m in Piedmont. In this hilly gash in the north of Italy you can savor good food and good wine.

First stop is the treehouse. A window with a breathless view. Even with rain everything seems more beautiful, bucolic, romantic.

From the balcony you can admire the infinite landscapes while you listen to the relaxing sound of the raindrops on the rooftop.

The smell of nature watering after a long drought and the animals and plants waking up from a long sleep.

A colorful spot arises in the pale grayness of the day. The Brunate’s chapel, with its bright colors, from the intense blue to the vivid yellow, between the natural green of the vineyards.

A joyous moment for our eyes!

We move to the Monferrato, the region that give its prestige to the wines produced on its hills. The sky seems to be on the verge of a storm and soon the gentle rain becomes a heavy thunder. The landscape still seems to be coming from an old Monet.

After a few hours spent tasting wines, from the Barolo to the Barbera, we move to Bossolaco to see its famous roses.

The small town seems to be out from a fairytale. Everything around us is magical and relaxing even with the rain and the unexpected cold. A beautiful spot to visit in the incomparable beauty of Italy.

Here’s the link for the beautiful tree house: http://tenutamontegrande.it

Welcome!

Hi!

Let me introduce myself: my name is Alessandra, I’m an Italian girl who loves writing and everything beautiful. Enjoy me in this process of discovery, self-love and wondering.

Have fun!