Vi chiederete perché un articolo su Joan Didion in un mondo già pieno di articoli su Joan Didion. In effetti mi sono imbattuta in questa scrittrice e giornalista solo di recente. La delicata essenza che emana dalla scrittura è, per certi versi, molto simile a quello che scrivevo negli anni passati, da adolescente. Questo accostamento fortunato e inaspettato mi ha portata a cercare di capire di più di lei.
Nata negli anni 30 e vissuta a Sacramento per i primi anni di vita, questa promessa letteraria cominciò a scrivere sin dalla tenera età, come ricorda lei in un suo famoso saggio, “per capire cosa pensassi”. L’esperienza della scrittura le rimase addosso e decise di ampliarla facendo un concorso per giovani talenti a Vogue. Da lì cominciò a scrivere sempre di più come giornalista freelance e la sua carriera prese il decollo. Il suo attento sguardo alle vicende umane e il suo enorme talento le valsero una candidatura al Pulitzer, che non vinse, classificandosi comunque tra i finalisti.
Di fronte a tanta capacità, forse, è da chiedersi perché NON scrivere su Joan Didion.
L’attenzione ai particolari, ai dettagli che normalmente sfuggono all’occhio meno pronto, la capacità di mettere su carta quell’esatta sensazione, la capacità di rievocare momenti, lontani e labili, ne fanno una straordinaria scrittrice.
Una donna piccola, forse un metro e sessanta scarsi, con un grande occhio.
Fortunata, in parte, dal punto di vista letterario. Sfortunata dal punto di vista personale: perse il marito e la figlia adottiva nel giro di un anno.
Tuffarsi in una delle sue opere più illustri, “The White Album”, è un immedesimarsi nel passato degli anni 60, nella vita quotidiana prima degli omicidi della setta Manson, nella vita che a quel tempo sembrava libera da ogni freno inibitore. Si può dire che dalla lettura di queste pagine ben rilegate ci si possa sentire parte di un passato che non è poi così lontano.
Pioniera della sottile arte del New Journalism, colorito da sensazioni personali e impressioni vivide, la Didion si fece portavoce di un’intera generazione. Lontana dallo sperimentalismo spericolato degli anni sessanta, si avvicinò moltissimo alla politica, con uno sguardo vivace e intelligente. Le sue opere migliori vennero però, almeno secondo la critica specializzata, negli ultimi anni della sua vita. A seguito del duplice lutto, prima del marito, anch’egli scrittore, John Dunne, e poi della figlia Quintana, scrisse due opere mirabili: “The Year of Magical Thinking” e “Blue Nights”. Queste ultime, sul tema del dolore della perdita, portano luce sulle opinioni di una scrittrice atea che analizza in maniera profonda e ricca il momento stesso della fine di un rapporto, delle conseguenze di questa fine, e della vita che, inevitabilmente, va avanti. Prolifica e attenta a ciò che pubblicava, rimane sempre una fonte inesorabile di ispirazione rendendo la vita, per quanto banale, l’unica vera musa.
2 thoughts on “Joan Didion: quell’amica geniale”
benissimo ritratto di una donna figlia del pieno del suo tempo <3
<3 grazie!
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