L’artista hippie Bergamasco esponente dell’Art Brut

ECCO LA SORTE del CREATO quale FINESTRA a questo MONDO mi ha APERTO E il DESTINO MI ha PRESO in CONSEGNA nel CAMMIN di MIA VITA e per BONTÀ SUA mi TIENE ancora a BRACCETTO.  –  G.B.P.

Giovanni Battista Podestà (Torre Pallavicina 13.02.1895- Laveno 16.02.1976) nacque in una famiglia povera del panorama Lombardo.

Dodicesimo di tredici sorelle, subisce la perdita del padre prematuramente e ciò lo vede costretto ad abbandonare la scuola a dieci anni per dedicarsi al lavoro. Durante questi anni, sei delle sue sorelle muoiono di tubercolosi, lasciando la famiglia in un profondo dolore.

La situazione europea si fa difficile e, all’alba del 1914, Giovanni viene chiamato al fronte dove viene ferito e fatto prigioniero. Qui, tra paura e disaccordo per le manifestazioni violente, subisce un trauma indelebile. La sua natura pacifista emerge durante il conflitto, ma poco può di fronte ai grandi eventi del mondo.

Si trasferisce a Laveno, sul Lago Maggiore, e trova lavoro in una fabbrica di ceramiche. Nel 1922 incontra una donna, Maria Nobili, che diventa ben presto sua compagna di vita e madre delle sue due figlie.

Durante questi anni comincia ad avvicinarsi all’arte, completamente da autodidatta, come forma di espressione dei moti interiori dell’animo umano. Inizialmente si dedica alla pittura ad olio, prevalentemente di stampo religioso cattolico. In questi anni dà vita a decorazioni classiche di piatti, credenze e dipinge il divano di casa.

Cassapanca e divano, Giovanni Battista Podestà, tempera su legno, copyright dal sito ufficiale rimosso dal web.

Allo scoppio della II Guerra Mondiale, viene richiamato nell’esercito come supervisore dei trasporti ferroviari vicino a Parma.

Dal 1945 la sua visione artistica cambia. L’influenza neoclassicista che lo aveva animato in precedenza, subisce una mutazione. Alla pittura ad olio sostituisce la scultura e i bassorilievi, realizzati con colla, segatura, specchi e materiali di recupero.

Il fil rouge della sua filosofia è la perdita dei valori tradizionali in favore del consumismo.

Proprio in questi anni realizza anche degli abiti che indossa ogni giorno come manifestazione della sua realtà interiore.

Nelle lunghe passeggiate quotidiane, accompagnato da un bastone ornato con gli episodi della sua vita, intrattiene le persone che lo fermano per strada, incuriosite dai suoi look. Porta una lunga barba e capelli da hippie, una cravatta ornata che rappresenta un becchino e uno scheletro, ed un anello con una testa di morto. Il suo stile unico lo fa un ribelle che si approccia alla vita con colore e esuberanza.

Manteau, chapeau et parapluie,Giovanni Battista Podestà, sans date
vêtements et parapluie peints, 115 x 60 x 45, © crédit photographique, Collection de l’Art Brut, Lausanne

Portrait de Giovanni Battista Podestà, photo: Marischa Burckhardt, © crédit photographique, Collection de l’Art Brut, Lausanne

Il suo rapporto con la religione è talmente stretto che ogni venerdì santo scala la collina, portando sulle spalle la sua personale croce.

Giovanni Battista Podestà con la sua croce e il suo bastone.

Dal 1954, anno della pensione, si dedica completamente alla realizzazione di opere artistiche.

La vita scorre regolare, fino alla morte della moglie nel 1974, anno in cui tutto cambia.

Giovanni non si riprende dal lutto e la perdita della compagna rappresenta per lui un dolore indicibile, al punto tale che smette di creare.

Nel 1976 muore, lasciando parte delle sue opere alla famiglia, alcune a collezionisti e altre, esigue, a diverse gallerie.

Si possono trovare esposizioni dei suoi lavori alla Collection de l’Art Brut di Losanna e alla Halle de Saint-Pierre a Parigi.

Il sarcofago, Giovanni Battista Podestà, sans date
sculpture, techniques mixtes, 34 x 50 x 54 cm, © crédit photographique,
Collection de l’Art Brut, Lausanne

Il mostro, Giovanni Battista Podestà, sans date
sculpture, techniques mixtes, 80 x 66 cm,© crédit photographique, Collection de l’Art Brut, Lausanne

La sua arte convoglia un simbolismo misterioso ed affascinante, con echi di storia contadina Bergamasca, con influenze medievali, cristiane e kitsch.

Ad oggi rimane un artista minore, poco conosciuto, ma dignitosamente apprezzato nel panorama di quell’arte, definita Brut, nata in seno alla “pazzia” e alla stravaganza di chi non ha mai voluto affidarsi a scuole o accademie.

Alcuni link utili: https://christianberst.com/en/artists/giovanni-battista-podesta#artworks

Info utili: https://web.archive.org/web/20131005172838/http://www.artbrut.ch/fr/21004/1022-5/auteurs/podesta–giovanni-battista

Il sito web:

https://web.archive.org/web/20190109181832/http://www.podestagiovannibattista.it/#go_page_99

L’artista tra genio e pazzia

Tra tutti gli artisti del ‘900 uno in particolare conquistò l’interesse di André Breton che arrivò a studiarne la personalità e la produzione.

Adolf Wölfli (Bowli 29.02.1864- Berna 06.11.1930) fu l’esempio vivente del rapporto viscerale tra genio e follia.

General View of the Island Neveranger, Adolf Wölfli, 1911

Nato in una famiglia contadina povera, ultimo di sette fratelli, sin dall’infanzia incontra terribili difficoltà. Il padre, alcolizzato, finisce in prigione e abbandona la famiglia quando Adolf ha soli 6 anni. La madre, lavandaia, non può permettersi di mantenere sette figli così, nel 1873, il piccolo Adolf viene venduto come bracciante.

Alla morte della madre, insorta l’anno dopo, Adolf viene affidato a diverse famiglie che spesso lo maltrattano e abusano di lui.

Responsabile di diversi tentativi di stupro (alcuni ai danni di bambine di 3 e 5 anni) finisce nel manicomio Waldau nel 1895.

Qui la diagnosi di schizofrenia sembra chiarire la condizione dell’uomo che spesso è fortemente agitato, violento e sente le voci.

Nei 35 anni trascorsi all’interno della struttura, passa la totalità del tempo a disegnare e realizzare una biografia monumentale di oltre 25mila pagine.

Il disegno, incoraggiato anche dai terapeuti e dallo psichiatra responsabile, Walter Morgenthaler, sembra calmarlo e dargli un obiettivo di vita che prende seriamente a cuore e che persegue facendosi mettere spesso in isolamento per avere la concentrazione adatta a immergersi nel suo personalissimo mondo.

Irren Anstalt Brand Hain, Adolf Wölfli, 1910

Adolf prende spunto da ogni cosa: riviste, atlanti, cartoline, libri… reinventa la sua vita, il suo passato e il suo futuro nell’ottica, un po’ infantile, di un mondo altro, immaginario, in cui lui stesso è il protagonista unico e assoluto.

Crea parole, immagini, disegni, collage, spartiti musicali che diligentemente assembla nella sua biografia chiamata “Leggenda di Sant’Adolfo”.

Inizialmente scrive con lo pseudonimo di Doufi, nomignolo di quando era bambino, successivamente adotta il nome d’arte di St. Adolf II, protagonista di una battaglia cosmica creata dalla sua mente geniale.

London North, Adolf Wölfli, 1910

Adolf viene studiato per tutta la sua vita. Il dottor Morgenthaler ne scrive una biografia nel 1921, attribuendo al paziente un’abilità artistica innata, forse germogliata proprio in seno alla malattia, mentre Freud ne rimane affascinato.

Wölfi era incolto anche se alcune fonti riferiscono che avesse avuto un umile approccio scolastico finendo i primi anni di scuola. Sicuramente inesperto d’arte, divenne nel corso dei decenni uno dei principali esponenti dell’Art Brut, avvicinandosi alle neoavanguardie del ‘900.

Holy St. Adolf Tower, Adolf Wölfli, 1919

La sua opera è caratterizzata da un estremo ornamento, spesso incorniciato, in cui ritrae con diverse tecniche la realtà. La ripetizione è la chiave del suo lavoro e si mostra meticolosa anche se a tratti infantile, mancando un vero e proprio apporto prospettico alle opere. Dettagli, ghirigori e simboli sono fortemente presenti nell’opera di Wölfi e contribuiscono a creare il mondo immaginario dello stesso artista.

Pioniere rispetto ai tempi in cui viveva, Adolf utilizza la fotografia della lattina di zuppa di pomodoro Campbell nel 1929, Andy Warhol farà lo stesso solo trent’anni dopo.

Campbell’s Tomato Soup, Adolf Wölfli, 1929

Alla sua morte, avvenuta a causa di un tumore allo stomaco, Wölfi viene dimenticato.

Riscoperto da Jean Dubuffet nel 1945, ritorna in auge e viene esposto nel 1972.

Di lui ci rimangono 1300 disegni, quaderni scritti in parole e musica e 25mila pagine di biografia (i cui quaderni raggiungono l’altezza di oltre due metri!).

La sua storia, intrecciata con le vicende personali difficili, violente e illegali, sembra sottolineare uno stretto rapporto tra l’atto creativo e le facoltà mentali.

In quest’ottica Adolf Wölfi rappresenta in tutto e per tutto l’epiteto del genio folle, della visione creativa che nasce e si nutre della pazzia e dei disturbi mentali e che tuttavia rimane una caratteristica innata propria dell’individuo che ancora ci meraviglia e ci stupisce, nascosta nell’intricato mistero della mente umana.

La sua arte è esposta al museo des Beaux-Arts di Berna. Qui il link: https://www.adolfwoelfli.ch