Donne d’arte: Alessandra Izzo si racconta

Alessandra Izzo, By Francesco Escalar, Los Angeles

Correva l’anno 1982 quando allo Stadio San Paolo di Napoli, tra facce sudate e sguardi sognanti, si esibisce il più grande compositore moderno del ‘900: Frank Zappa.

Tra la folla urlante c’è una giovane donna, appassionata di musica e del baffo più famoso del mondo.

Alessandra Izzo nasce a Napoli e vive a Roma. Ho modo di incontrarla soltanto in videochiamata o al telefono, ma non ci impedisce di scoprire che abbiamo qualcosa in comune. 

È una donna forte Alessandra, un’artista. Della sua poliedricità ha fatto un mestiere e della sua passione la sua vita. 

Ci chiamiamo un venerdì mattina sotto una Milano uggiosa. La sento all’altro capo del telefono: un’esplosione di positività e gioia. Alessandra è così, un vulcano.

Mi racconta della sua vita e della sua passione per la musica, nata in seno alla famiglia. Già dall’infanzia si innamora di quest’arte. “Mia madre cantava” mi dice, “faceva concorsi.” Mi sembra naturale che il suo percorso abbia intrecciato legami e conoscenze con i grandi, anche se è stata la sua determinazione a portarla lontano.

Parliamo di Frank e della musica eclettica che ha creato, di come tutto è cominciato. Al tempo c’erano ancora i vinili con le loro sfolgoranti e magnifiche copertine. Si frequentavano i ragazzi più grandi che portavano i dischi, si ascoltava musica insieme. “Amavo gli Hippie” ricorda, e in quel periodo, gli anni ’70, rappresentavano l’estetica per eccellenza. Un amore nato prima su carta e poi riversatosi nella sua musica considerata da molti come un’innovazione, un’ode del grande guru.

Le chiedo quale sia il suo ricordo più bello con lui. Mi dice che è Viareggio, due anni dopo il loro primo incontro.

“Ha puntato il dito e ha detto “Eccoti, sei tu!”.”

Al tempo è poco più che maggiorenne, ma ricorda ancora l’intensità di quel momento, seguito da altri. Non parla di amore quando si riferisce a lui, ma di un’intensa connessione. A Frank piaceva molto l’Italia e amava le sue origini italiane. Insieme ridevano e avevano trovato dei punti in comune. 

Alessandra con l’allora fidanzato, Il principe Dado Ruspoli, al party di Rocco Barocco, Capri 1989.

Alessandra non è una groupie, ma una donna libera piena di dignità.

Ciononostante mi ritrovo a chiederle di loro, del loro mondo e di come erano viste. Mi dice che è un termine ormai considerato dispregiativo e di come al tempo la parola era odiata. Le vere groupie erano quelle a cavallo degli anni ’60-’70, ben prima della sua entrata nel mondo della musica. Molte donne hanno cavalcato l’onda del termine per potersi fare pubblicità, soprattutto all’estero. Per Alessandra si tratta di qualcosa di diverso, più profondo: dell’amore per la musica e per una band e della sua naturale evoluzione per il cantante. Questo amore si percepisce da come ne parla, dal modo in cui si accende al ricordo del passato. “Siamo donne che amano la musica, non c’è età, religione o colore della pelle.” 

Alessandra non è solo un’appassionata di musica. Giornalista, Corrispondente estera, Autrice teatrale, ha lavorato anche in Radio.

Ha fatto molto in un ambiente tosto, si è scontrata con il sessismo di quegli anni e con le sue limitazioni, ma ne è uscita vincitrice. Parla della luce nuova che risplende con il movimento del girl-power. Parla anche del suo libro, She Rocks!- giornaliste musicali raccontano (Volo Libero). “è dedicato in parte alle donne” e dà voce alle donne nel mondo della musica.

Alessandra, fotografie per la prima del libro su Frank Zappa

Le chiedo se pensa che il femminismo di oggi sia cambiato, si sia un po’ perso insieme alle libertà di un tempo. 

Ripercorre il periodo che ha vissuto con la forza di una leonessa. “Eravamo le ragazze del topless” esordisce, “Sembra di essere tornati indietro di mille anni, una come me si sentiva libera nella mia generazione” sottolinea. Chiacchieriamo ancora di limitazioni, di perbenismo, di politically correct e delle sue implicazioni. “C’era una grande libertà” incalza “che è durata negli anni ’80. Le cose sono cambiate negli ultimi 15 anni, noi facevamo militanza. Io sono felice di aver fatto quelle battaglie che mi hanno dato la libertà. Importa che noi donne siamo libere di fare quello che vogliamo.”

Mi ritrovo appassionata dalle sue parole, smuovono in me un sentimento di appartenenza. È un dono, mi sento capita dal suo flusso di pensiero e dal suo modo di vedere il mondo.

Mi parla del cinema, che ama profondamente, e della scrittura. Mi parla delle donne che ha amato nella sua vita: Monica Vitti, Valeria Golino, Jane Fonda, Julia Roberts e molte altre.

Ha passato vent’anni a scrivere di cinema nell’ufficio stampa di due importanti aziende del settore. Per lei era divertente lavorare, l’appassionava. Ama incontrare le persone, intervistarle ed avere un rapporto con loro. Il suo calore umano si sente anche a kilometri di distanza. 

Ha vissuto negli Stati Uniti, a Los Angeles, NY, Memphis, Nashville, Miami e mantiene un rapporto profondo con la California, la sua “chosen family”.

Stare al telefono con Alessandra porta una ventata di aria fresca. È spensierata, combattiva eppure estremamente radicata. Le sue storie sono coinvolgenti, ti rapiscono. La sua vita sembra un sogno ad occhi aperti, fatto di mille possibilità. Le chiedo se ci sono progetti futuri all’orizzonte, nell’ambito della scrittura o nell’ambito teatrale.

C’è un nuovo libro che ha in mente di scrivere su un personaggio che non è ancora riuscita a incontrare, ma specifica che ci tiene a vivere il rapporto con mano prima di parlarne. 

Prima di lasciarci discutiamo ancora un po’ della vita, dei sogni, delle ambizioni e dei cambiamenti. Parliamo di forza e di motivazione.

“La devi trovare, vai oltre, respira, non staccare mai la tua curiosità.”

Alessandra, fotografia scattata per un magazine Americano, 1989.

Instagram di Alessandra Izzo: https://www.instagram.com/alexizzo1/

Link per acquistare libro: https://www.amazon.it/She-rocks-Giornaliste-musicali-raccontano/dp/8832085135

Link per acquistare libro: https://www.amazon.it/Frank-resto-mondo-Alessandra-Izzo/dp/8897508812

Donne d’arte: la prosa di Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese.

Nata il 13 Giugno del 1914, Anna Maria Ortese trascorre la vita migrando da una città all’altra. La sua formazione scolastica è minima, senza picchi artistici, ma è la sua volontà di imparare da autodidatta che le permette di crescere artisticamente sin dalla tenera età.

Una vita difficile quella di Anna Maria, che subisce due lutti importanti in famiglia. La morte degli amati fratelli Emanuele nel ’33 e il gemello Antonio nel ’37, lascia in lei un profondo senso di tristezza e solitudine che alimenta la sua scrittura e plasma il suo carattere. 

Lei stessa arriva a dire “I soli che possono amarmi sono coloro che soffrono. Se uno davvero soffre sa che nei miei libri può davvero trovarsi”. Una porta aperta, una mano tesa per coloro che come lei sono stati toccati dalla potenza distruttiva dell’esistenza.

Nel ’37 pubblica la sua prima raccolta, “Angelici Dolori” che viene accolta in maniera divisiva.

Dal 1939 comincia a scrivere per diverse riviste come il Mattino, Il Messaggero e il Corriere della Sera affinando la sua abilità.  

È nel 1945 che inizia il suo sodalizio d’oro, non con un autore, bensì con una città di cui Ortese si innamora perdutamente e che comincia a descrivere nei suoi racconti come una casa ritrovata, un luogo che si esprime chiaramente nella sua confusione e che definisce eccezionale: Napoli. 

È proprio da questo rapporto viscerale che nasce “Il mare non bagna Napoli” che vince il premio speciale per la narrativa al Premio Viareggio del 1953. Una raccolta di racconti evocativi con protagonista la città dilaniata dal dopoguerra, in cui vivono ancora intellettuali e letterati che l’autrice ritrae nelle loro miserie e nelle loro gioie.

Questa raccolta la porta ad una rottura con le personalità di Napoli e a un successivo trasferimento al nord dove, nonostante tutto, non riesce mai a dimenticare la città amata.

Nel 1967 pubblica il romanzo “Poveri e Semplici” che vince il Premio Strega, un altro importante traguardo della sua carriera. Nel 1975 si trasferisce a Rapallo, luogo che ospiterà le sue spoglie mortali fino all’ultimo giorno della sua esistenza, il 9 marzo 1998.

La vita di Anna Maria è coronata dalla sofferenza, dallo sradicamento e dal bisogno di scrivere come modo per ritornare a casa. Una sorta di riparazione alla vita, all’essere in vita, che comporta un costo, un dispendio di una parte di noi che viene inevitabilmente persa negli eventi caotici che ci toccano. La sua arte abbraccia l’invisibile come parte del reale e si accosta al realismo magico, al surrealismo, senza però venirne definita appieno.

Ortese concretizza il suo apice artistico nella forma del racconto breve, con virgole frequenti; una scrittura moderna e metamorfica, in cui le metafore servono a comprendere il mondo e sé stessi in maniera profonda e a radicarsi in qualsiasi cosa ci possa offrire accoglienza. 

Come una sorta di rivoluzionaria Leopardi si immerge nel suo dolore ma lo tramuta, lo specchia nella struttura stessa della città di Napoli, una città che definisce grigia, ma intensa di colori, ricca e piena di contraddizioni.

Accostabile alla pittura di Thomas Jones, che ritrae Napoli usando proprio quel grigiume e quella pietra che Anna Maria ricalca nei suoi scritti, Ortese realizza un perfetto ritratto di Napoli, della donna come condizione sovversiva e di sé stessa come animo gentile, ma bestiale, che scava nel profondo della realtà per trovare una comunione con il cosmo intero.