Il Victoria’s Secret Fashion Show di cui (forse) non avevamo bisogno

Martedi 15 Ottobre 2024 si è tenuto il nuovo famosissimo show nella grande mela. Tra gli ospiti vecchi angeli illustri che hanno fatto la storia del brand – ma non solo- e nuovi volti con buoni propositi e tanta curiosità.

Sulla scia delle edizioni passate (e che edizioni!) il Victoria’s Secret Fashion Show 2024 ha dichiarato di impegnarsi in un tema attuale di vitale importanza: l’inclusività.

Ma al di là delle buone intenzioni (con un pizzico o più di marketing vista la situazione disastrosa in cui verte il brand), non è riuscito a stimolare la fantasia dello spettatore come faceva nel suo passato illustre.

Abituate com’eravamo a vedere modelle uscire da giochi di ombre, scatole regalo natalizie, su note coinvolgenti e sexy, questo nuovo spettacolo ha avuto pochissimo a che fare con le stravaganze del passato, con i glitter delle edizioni in cui Taylor Swift dominava la passerella, con il mistero creato dalla chiusura della sfilata operata da Rihanna.

Ci troviamo nella mitica New York, una passerella lunga e colorata di rosa – il classico colore del brand- con una Gigi Hadid che apre lo show sulle musiche di Lisa, con poca convinzione e una camminata traballante che ha poco a che fare con l’alta moda di cui è abituata. La prima sfilata, all’insegna del tipico colore, viene chiusa da una Adriana Lima decisamente cambiata da piccole e studiate iniezioni al viso, ben lontana dal look fresco che portava in passerella nei tempi d’oro della sua carriera.

Il secondo momento, coronato da una straordinaria Tyla, si popola di bianco e vede alcune storiche modelle ricalcare le orme del passato. Una Candice sempre straordinaria, anche se decisamente nervosa, una bellissima Barbara, che con il corpo a pera che ha poteva benissimo essere valorizzata da lingerie studiata ad hoc invece che dal vestito lungo e coprente che ne ha mascherato la fisicità tonica e sana.

La terza sfilata vede come protagonista assoluta una Kate Moss fiacca che apre le danze con poca verve e coinvolgimento. Una storica Behati anch’essa coperta da un abito lungo, una Irina che riesce a risollevare il ritmo della narrazione.

Ritorna quindi Lisa con una melodia dai toni più soavi, e qui vediamo diverse modelle Plus size calcare la passerella portando avanti la nuova concezione inclusiva del brand. Ad aprire, una non proprio in forma Ashley Graham, decisamente oltre il concetto di plus size abbracciato dall’azienda. In questo pezzo emergono anche volti storici come Eva Herzigova e Carla Bruni a fare da padroni a completini di pizzo nero e vene più sensuali e mature.

È ora la volta della performance più attesa: Una Cher che pare in forma, sul pezzo, ma che si riduce a cantare in playback mentre un coro di ballerini le fa da sfondo per creare movimento. Apre quindi la sezione rossa, che vede ancora una volta protagonista l’italiana Vittoria Ceretti ed infine l’attesissima – e segretissima- Bella Hadid a chiusura dello spezzone. Una mossa geniale, considerata la portata di questa top model, nominata la modella del decennio, con alle spalle collaborazioni che hanno fatto la storia delle passerelle. 

Prima dell’atto finale, ecco emergere dal pavimento una Tyra Banks, l’unica forse in tutta la sfilata, ad avere la grinta necessaria a portare avanti una camminata su passerella. La vera plus size, dai tempi passati degli storici show in giro per il mondo, riesce a strappare un sorriso e un che di ammirazione. In forma smagliante, con un corpo proprio che va oltre i canoni estetici portati avanti dalla Heroin chic degli anni ’90, regala una performance che vale tutto lo show. 

Di fronte a questo cosa pensa il pubblico? A leggere i commenti americani nessuno aveva bisogno di questo show. A tratti sconnesso, poco entusiasmante, con artisti di un livello inferiore a ciò a cui eravamo abituati, lascia desiderare anche nel design delle ali e della lingerie. Lo sfondo della sfilata, senza alcun tipo di gioco di luci, colori, animazione, rende tutto piatto, statico, una performance che non coinvolge e soprattutto non convince. Le modelle, a tratti atletiche e dai fisici sani, portavoci di uno stile di vita fatto a favore del benessere, vengono mischiate a fisici decisamente scarni, poco salutari, o in certi casi troppo in carne, promuovendo ancora una volta una narrazione dell’eccesso. Non c’è via di mezzo. Troppo magre o troppo grasse. Viene da chiedersi dove siano finiti i modelli dell’antica Grecia: un corpo tonico -ognuno con le sue caratteristiche e peculiarità- portato al miglioramento perché ci si vuole bene e ci si prende cura di sé. 

Nel 2024 abbiamo davvero bisogno di questo messaggio impoverito, ancora una volta ai limiti? Non eravamo troppo magre allora e non siamo troppo grasse adesso

Forse l’inclusività non è abbracciare ogni eccesso come se fosse la normalità, mapromuovere uno stile di vita sano, uno stile di vita sportivo dove l’indulgenza di un cheeseburger o due va a braccetto con frutta e verdura, dove bere una bibita o una birra non significa abusarne, dove non c’è spazio per droghe, Ozempic, o due dita in gola, ma solo la buona volontà di fare qualcosa per sé stesse perché è molto più remunerativo e soddisfacente.

Nel complesso lo show regala momenti indimenticabili, soprattutto con le “veterane” di questa passerella, ma in ultimo rimane una mossa di marketing deludente e sotto le righe. 

Ci aspettiamo ancora una Adriana Lima che entra da una porta gigantesca con ali nere, Una Gisele vestita da regalo di Natale, Una Tyra che sulle note di Bang Bang di Nancy Sinatra popola l’immaginario femminile dell’erotismo e della sensualità, tutte cose ben lontane dal Victoria’s Secret Fashion Show 2024.

La stilista visionaria che ha cambiato il mondo della moda

Madeleine Vionnet nacque nel 1876 e già dall’età di 11 anni cominciò il lavoro di sarta che le avrebbe garantito un futuro brillante.

Nel 1893 trovò lavoro nella Maison Vincent a Parigi divenendo Première solo due anni dopo. Nel frattempo si era sposata e aveva avuto una figlia. Infelice del risultato ottenuto e per niente adatta alla vita classica e convenzionale di madre di famiglia, partì per l’Inghilterra dove divorziò dal marito. La bimba morì in un incidente solo un mese dopo l’arrivo a Londra. Qui intraprese diversi lavori che la videro impegnata sempre nel mondo del cucito, finché tornò a Parigi con l’inizio del nuovo secolo.

Al tempo si stava sviluppando una nuova corrente di pensiero che proponeva una riforma dell’abbigliamento femminile in favore di un modello ispirato all’abito alla greca. Le donne cominciavano a stancarsi degli stretti corsetti e delle imposizioni pompose che fino ad allora avevano regnato in tutta Europa.

Nello stesso periodo inoltre, una giovane ballerina e artista di nome Isadora Duncan cominciava a danzare a piedi scalzi indossando una tunica che le permetteva movimenti ampi. La riforma stava cominciando ad espandersi e anche se non sappiamo con certezza quanto influì sullo stile di Vionnet, sappiamo che ne fu in qualche modo pilastro portante.

A Parigi lavorò per diverse case di moda e nel 1907 realizzò una collezione di abiti innovativi, ispirati alle performance della stessa Duncan.

Propose un nuovo modello di abito femminile privo del famoso busto, commentando:

“Io stessa non ero mai stata capace di sopportare corsetti, quindi perché mai avrei dovuto infliggerli alle altre donne?”

ed escogitando nuove tendenze che di lì a poco divennero chic e in voga.

Nel 1912 aprì il suo primo atelier dove potè di fatto coronare le sue idee e realizzare abiti innovativi e moderni e al tempo stesso comodi e pratici.

Finanziata da Germaine Lillaz, Madeleine fu protagonista assoluta di una storia di donne, per le donne, per la loro cultura, la loro creatività e la loro bellezza. L’emancipazione che realizzò grazie a Madame Lillaz, fu un punto cardine della sua filosofia di moda e di vita, anticipando quella che sarebbe diventata ben presto una rivoluzione sociale a tutti gli effetti.

Non abbiamo molte informazioni in merito ai modelli dei primi anni della maison, sappiamo solo che l’ispirazione del tempo era il kimono orientale che affascinava le giovani donne e sembrava pratico e confortevole non solo per passare le giornate in casa, ma anche per uscire all’aria aperta.

Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale che la vide costretta a chiudere l’atelier e rifugiarsi a Roma, aprì una nuova società.

Da questa nuova avventura, cominciata dopo lunghi e tormentati anni di battaglia e morte, nacque una delle innovazioni più moderne e popolari del secolo: l’abito in sbieco.

Negli anni ’20, quando gli uomini erano impegnati sul fronte bellico, le donne avevano preso parte alla vita sociale e collettiva in maniera diversa. Per la prima volta avevano avuto la possibilità di lavorare, di aiutare e di diventare più emancipate che mai. Curare feriti, guidare automobili, fabbricare munizioni richiedeva un abbigliamento pratico e comodo, nulla a che vedere con quanto si indossava in passato. I corsetti vennero nascosti negli armadi, lontani dalla vista, le gonne si accorciarono abbandonando la loro lunghezza plateale in favore della praticità, i capelli si portavano ora corti per potersi dedicare ad altro, mettendo in secondo piano la seduzione e la bellezza.

Dove Chanel aveva proposto un modello maschile, Vionnet rimase fedele allo sguardo femminile che apprezzava tanto.

Ritornò all’abito mediterraneo, su ispirazione Greca, lavorando il tessuto senza tagliarlo secondo le forme del corpo, ma montandolo in modo che potesse seguirle e abbracciarle in maniera autonoma.

Il primo modello fu composto da quattro quadrati di tessuto utilizzati in diagonale e sospesi alle spalle con uno spigolo per ciascuno. Quattro cuciture tenevano insieme il tutto e una cintura annodata in vita rappresentava l’accessorio finale. Il risultato era una sorta di chitone greco con una caduta semplice e nuova che aderiva al corpo.

Madeleine Vionnet, abito da sera, 1918-19. A destra abito da sera, inverno 1920, Parigi, Les Arts Décoratifs, Musée de la Mode et du Textile, collezione UFAC. La robe “quatre mouchoirs” è confezionata in crêpe di seta avorio

Il taglio in sbieco che cominciò da qui ad utilizzare prevede che la stoffa venga usata in obliquo invece che secondo il senso della tessitura (drittofilo).

Madeleine Vionnet, abito da sera, in “Vogue France”, ottobre 1935, foto Horst P. Horst

Anche se Vionnet negò sempre la maternità dell’invenzione che di fatto era già utilizzata nell’ottocento per realizzare colletti e cuffie, fu la prima stilista ad utilizzarlo per la realizzazione di abiti interi.

Altro elemento che utilizzò moltissimo fu quello geometrico, la chiave fondamentale della sua idea creativa.

Le figure geometriche che utilizzò nel taglio garantivano un effetto mai visto prima, portando gli abiti ad avere una complessità straordinaria (per certi versi quasi impossibile da comprendere) e una fantasia minimale che sfociava in leggi matematiche precise.

Madeleine Vionnet, abito da sera

Una delle particolarità della filosofia di Vionnet fu quella di utilizzare un manichino per la realizzazione dei vestiti e solo in seguito creare uno schizzo dell’abito. In questo modo e lavorando in maniera privata in una stanza separata, riusciva a creare abiti che si adattassero perfettamente al corpo, lasciandolo libero di muoversi e creando anche una sfarzosità minimal che viene ricercata anche al giorno d’oggi.

Madeleine Vionnet al lavoro sul suo manichino

Famosissime furono le realizzazioni delle sue rose, realizzate utilizzando precisione e ripetizione, in maniera meccanica, per renderle tutte uguali e il più possibile verosimili ai fiori.

Madeleine Vionnet, cappa da sera con rose, 1921 Parigi, Les Arts Décoratifs, Musée de la Mode et du Textile, collezione UFAC. La fotografia si trova in uno degli album di copyright della Maison Vionnet

Negli anni ’30 il metodo Vionnet divenne famoso anche oltreoceano, dove venne valorizzato dalle dive Hollywoodiane che indossavano ora abiti a sirena realizzati proprio attraverso il taglio in sbieco. Questo modello classico serviva a far emergere tutta la potenza seduttrice del corpo della diva rendendo però facile la recitazione.

Sempre negli stessi anni introdusse anche la gonna ampia, un nuovo modello che piacque moltissimo a Hollywood che la incorporò insieme allo sbieco e alla forma a sirena. I tessuti che vennero utilizzati erano estremamente delicati e decorativi. Il crêpe Rosalba di Bianchini-Férier, il crêpe Romain o quello broccato aux tonneaux di Ducherne divennero il simbolo della maison.

Madeleine Vionnet, abito da sera, estate 1938 New York, The Metropolitan Museum of Art. Il modello, di Crêpe di seta avorio, è ricamato ad applicazione di frange in tinta che formano un disegno a festoni

La popolarità di Vionnet rimane tale anche per la sua personalità vivace e distante dalla mentalità del tempo. Un’innovatrice a tutti gli effetti fu anche portavoce dello stare bene con sé stesse e andò contro le imposizioni dietetiche che ancora oggi son presenti.

Come disse in una celebre frase:

“In fondo, non ho avuto che una cosa da soddisfare nella mia vita, la mia indipendenza”.

Madeleine morì all’età di 99 anni e rimane un faro per la moda internazionale e una grandissima voce innovativa per la società.